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Takata, rischio crack dopo il caso airbag

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Takata, rischio crack dopo il caso airbag

  • –Stefano Carrer

tokyo

Brutto colpo per la Corporate Japan: si profila quella che potrebbe essere la peggiore bancarotta di una azienda industriale giapponese nell’intero dopoguerra, causata dal più gigantesco caso di accertata difettosità nella componentistica per autoveicoli.

Secondo precise indiscrezioni, la Takata – piegata dal numero incredibile di richiami di auto per la sostituzione dei suoi airbag, in un ordine stimato in totale intorno ai 100 milioni nel mondo intero - porterà i libri in tribunale settimana prossima, per ottenere la protezione dai creditori in Giappone e negli Stati Uniti. Gli airbag potenzialmente difettosi sono stati chiamati in causa per almeno 16 casi di mortalità e oltre 180 ferimenti, coinvolgendo quasi una ventina di Case automobilistiche.

Le azioni del gruppo – che dopo ripetuti crolli capitalizza 360 milioni di dollari - sono state ieri sospese alla Borsa di Tokyo dopo pochi minuti di contrattazioni in vista di un epilogo che era nell’aria da almeno un anno ed è stato ritardato da una complessa serie di fattori: dalle resistenze della famiglia azionista di controllo – gli eredi di Takezo Takada, che fondò il gruppo nel 1933 come azienda tessile, passata negli anni '60 a produrre cinture di sicurezza - ai timori di alcune Case automobilistiche che temevano il ricorso alle procedure fallimentari in mancanza di una intesa preventiva in grado di garantire la continuità delle forniture (visto che circa la metà degli airbag potenzialmente difettosi deve ancora essere sostituita e il settore è già molto concentrato).

Ora l’accordo sembra anch’esso in dirittura di arrivo e potrebbe essere annunciato in contemporanea al crack: sarà l’americana Key Safety Systems – controllata dall’anno scorso dal gruppo cinese Ningbo Joyson, che ha meno della metà del fatturato di Takata – a offrire un supporto finanziario probabilmente intorno a 1,6 miliardi di dollari per comprare gli asset che confluiranno in una nuova società, lasciando a una entità separata i maxioneri per sostituzioni e risarcimenti. Il leader globale Autoliv era interessato a intervenire, ma l’ipotesi non è decollata per le probabili problematiche Antitrust oltre che per l’opposizione della famiglia Takada.

È difficile quantificare in modo preciso gli oneri totali per richiami e risarcimenti, visto che vari contenziosi sono ancora in corso anche dopo il settlement da un miliardo di dollari raggiunto a gennaio da Takata con il Dipartimento Usa della Giustizia. Il quotidiano Nikkei stimato che Takata crollerà sotto “liabilities” per circa 9 miliardi di dollari. La società, tra l’altro, deve ripagare le case automobilistiche, che finora hanno sostenuto i costi per la sostituzione degli airbag. Anche per i grandi marchi dell’auto, a parte il danno di immagine, la vicenda è onerosa. Il mese scorso Toyota, Subaru, Mazda e Bmw hanno accettato un settlement negli Usa da 550 milioni di dollari su una class action che coinvolgeva circa 16 milioni di automobilisti negli Usa, senza che il contenzioso riguardasse alcun danno fisico. Altre Case hanno preferito per il momento non accettare patteggiamenti.

La crisi della Takata è stata innescata per lo più dall’utilizzo di nitrato di ammonio non essicato come propellente degli airbag, che rischia di provocarne l’esplosione con conseguenti emissione di schegge metalliche verso i passeggeri. Un problema aggravato da problemi di produzione nello stabilimento in Messico. Così una storia imprenditoriale di successo risalente a 84 anni fa finisce in modo drammatico, gettando un’ombra sul mondo automobilistico giapponese, proprio mentre una vera e propria icona tecno-industriale del Paese, Toshiba, sta lottando per sopravvivere.

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