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Uber, il colosso della sharing economy che ha brandito il software per rivoluzionare il più tradizionale dei settori, i trasporti, perde del tutto il suo pilota travolto da un’altra rivoluzione. Quella degli investitori preoccupati per la cultura degli eccessi e per le perdite del gruppo. Travis Kalanick, co-fondatore e volto pubblico del gruppo, ha rassegnato le sue dimissioni dai vertici della società, completando un’uscita di scena cominciata la scorsa settimana con l’auto-sospensione dall’incarico di amministratore delegato per una pausa di riflessione. Un periodo sabbatico che avrebbe dovuto vederlo riemergere da tragedie personali, la morte della madre in un incidente in barca a vela, e soprattutto da sfide di business che hanno scosso la sua leadership. Alla pausa ha invece posto bruscamente fine una lettera inviata da un’influente cordata di soci, Fidelity, Benchmark, Menlo Ventures, Lowercase Capital e First Round. I soci hanno bocciato l'idea che Kalanick possa essere - né oggi, né domani - il dirigente che guida Uber ai necessari cambiamenti interni e riscatti esterni.
«In questo momento difficile della mia vita, ho deciso di accettare la richiesta degli investitori di farmi da parte affinchè Uber possa tornare a crescere e non essere distratta da nuove battaglie», ha annunciato il 40enne Kalanick poche ore dopo aver preso visione della missiva. Anche se manterrà, con due co-fondatori, una quota di controllo nella società di Seattle nata soltanto nel 2009.
Il board ha definito la svolta “coraggiosa”, ma la cacciata di Kalanick apre molti, nuovi interrogativi: i vertici sono oggi decapitati, risultato di un esodo di top executive fuggiti per la progressiva crisi manageriale oppure allontanati in mezzo a scandali. Solo nei giorni scorsi un membro del board, David Bonderman, e' stato estromesso davanti a suoi commenti sessisti durante un incontro con i 12.000 dipendenti. E il braccio destro di Kalanick, Eric Alexander, e' stato licenziato per essersi impossessato della cartella medica di una donna stuprata da un autista.
Uber e' stretta d'assedio dal moltiplicarsi di sfide legali, di business e di gestione che mettono a repentaglio la valutazione di quasi 70 miliardi di dollari raggiunta dal gruppo, simbolo della nuova generazione di mega-start up, e i suoi piani per un Ipo. A Wall Street la fiducia non è svanita: le prospettiva per un collocamento azionario, ha assicurato Deutsche Bank, «restano estremamente buone». Ma nel clima di tensione di cui hanno approfittato concorrenti quali Lyft si sono aggravate le perdite: 2,8 miliardi l’anno scorso e altri 718 milioni nei primi tre mesi di quest’anno. Alphabet l’ha portata in tribunale accusandola di aver trafugato segreti industriali sulle auto self-driving, la nuova frontiera del settore. Le autorità federali hanno in corso un’inchiesta su strumenti usati dall’azienda per evitare controlli della polizia sui suoi servizi. Gli autisti impiegati a New York e Philadelphia, ha ammesso l’azienda, hanno visto per anni i loro compensi decurtati irregolarmente di decine di milioni. Tanto che nel tentativo di recuperare in immagine l’azienda ha appena introdotto un’opzione per la mancia. All’estero, in particolare in Europa, rimane osteggiata da associazioni di consumatori e di tassisti e dalle authority.
All’interno Uber è alle prese con una riorganizzazione interamente da compiere: la cultura aggressiva coltivata da Kalanick - e sancita nei principi fondanti, compreso “calpestare i piedi agli altri” - è sotto processo. La polemica è stata aggravata da un video che mostra Kalanick inveire contro un autista e da oltre 200 esposti per abusi e molestie sessuali dopo che un ex ingegnere donna ha portato alla luce il proprio caso personale.
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