La Cina è a corto di acciaio. Sembra un’assurdità, visto che il colosso asiatico è sotto accusa in tutto il mondo per aver esportato valanghe di prodotti siderurgici sotto costo. Eppure è proprio così. E il fenomeno, come tutto ciò che riguarda il colosso asiatico, sta cominciando a provocare ripercussioni anche oltre confine.
Le carenze, benintenso, non dipendono dal fatto che Pechino ha scaricato troppo acciaio all’estero (anche se l’export da qualche mese è in netta diminuzione). In realtà il problema riguarda una sola categoria di prodotti, di qualità così bassa che di solito non vale neppure la pena esportarli, perché i costi di trasporto rischiano di superare il valore della merce: si tratta degli acciai lunghi per edilizia, tondini o billette rudimentali, sfornati da fabbriche inquinanti che il Governo – in nome della tutela dell’ambiente – ha cominciato a chiudere. Stavolta davvero e non solo sulla carta, come mille volte in passato.
È questa l’origine delle carenze, che hanno attirato l’attenzione degli speculatori locali, spingendoli a scommettere sul rialzo sull’acciaio: alla Shanghai Futures Exchange il prezzo della vergella sta salendo da settimane e ieri ha raggiunto un picco di 3.474 yuan (511 dollari) per tonnellata, il massimo da gennaio 2014.
Nella prima metà dell’anno sono sparite oltre 600 acciaierie specializzate in prodotti lunghi, per un totale di 120 milioni di tonnellate di capacità, ha riportato martedì il China Economic Daily. Gli analisti stimano che questi impianti avessero prodotto 50 tonnellate di tondino l’anno scorso, un quarto del totale in Cina.
I risultati si vedono. Le scorte di prodotti lunghi per l’edilizia da metà febbraio sono calate quasi senza sosta: a fine giugno ammontavano a 3,73 milioni di tonnellate per SteelHome, vicine ai minimi dell’anno. Nonostante una piccola frenata dell’edilizia privata, la domanda continua peraltro ad essere molto robusta, grazie ai piani di stimolo che in Cina continuano a sostenere la costruzione di infrastrutture.
Per i produttori “sopravvissuti” è il bengodi: i margini sono letteralmente esplosi, salendo di oltre l’800% nel corso del 2017 fino a superare – fatto decisamente anomalo – quelli per la produzione di laminati (che sono invece in calo). In queste condizioni è quasi impossibile resistere alla tentazione di accelerare l’attività.
Si spiegano anche così i record di produzione che l’industria siderurgica cinese continua a registrare, nonostante i progressi vantati dal Governo nel piano di razionalizzazione del settore: l’85% dei tagli promessi per il 2017 era già fatto a maggio, con l’eliminazione di impianti per 65 milioni di tonnellate (in aggiunta ai 100 milioni del 2016).
Un altro motivo per cui la produzione cinese di acciaio continua a correre è che viene privilegiata la chiusura di impianti già fermi (che tra l’altro spesso vengono sostituiti da nuovi) o comunque di quelli meno efficienti e/o più inquinanti. Ricadono in questa categoria molte fabbriche cinesi di tondino, che di solito producono da rottame, con altiforni elettrici alimentati a carbone.
Gli effetti collaterali di quanto sta accadendo sono numerosi. Il rally dell’acciaio a Shanghai a cascata ha provocato rincari anche di altre materie prime, a cominciare dal minerale di ferro (che i produttori di tondino in genere nemmeno utilizzano in Cina), apprezzatosi del 13,5% in giugno, il rialzo mensile più forte dal 2009. Il fermento nel settore dei ferrosi viene citato tra i fattori che hanno risvegliato anche i prezzi al London Metal Exchange, dove rame e zinco sono saliti questa settimana ai massimi da tre mesi.
Infine ci sono ricadute sul mercato del rottame ferroso. Con le acciaierie che Pechino ha chiuso negli ultimi mesi è sparita una fetta di domanda, in una fase in cui – grazie allo sviluppo economico – l’offerta in Cina sta crescendo molto. L’anno scorso il Paese ha generato una quantità record di rottami ferrosi: 143 milioni di tonnellate, il quadruplo rispetto al 2002 secondo la World Steel Association.
Tutto quel rottame a poco prezzo alla lunga potrebbe spiazzare una parte dei consumi cinesi di minerale di ferro, ipotizzano alcuni analisti. Per il momento viene in gran parte esportato all’estero.
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