La congiuntura resta complessa perché il prezzo del petrolio stenta a cambiare stabilmente rotta. Ma l’Eni, sfruttando la crescita produttiva segnata dall’esplorazione e produzione, il motore del gruppo, e la spinta che arriva dal mid-downstream (chimica e raffinazione), per effetto del riposizionamento del business e del prosieguo nella ricerca di ulteriori efficienze, secondo il disegno tratteggiato dal ceo Claudio Descalzi, supera il giro di boa dei risultati semestrali, definiti «eccellenti» dall’ad, battendo le attese degli analisti e chiudendo in territorio positivo a Piazza Affari (+0,3%) .
Ed eccoli i conti semestrali diffusi ieri dal gruppo, a valle dei quali l’ad conferma l’acconto sulla cedola 2017 di 40 cent: l’utile netto si attesta a 0,98 miliardi contro il rosso di 829 milioni dello stesso periodo del 2016 (mentre nel secondo trimestre l’asticella è a 18 milioni contro i -446 milioni dei primi tre mesi); l’utile netto rettificato è pari 1,2 miliardi, sostenuto dalla «solida performance» di tutti i segmenti, e si confronta con la perdita di 315 milioni del primo semestre 2016 (nel trimestre, invece, è pari a 463 milioni a fronte del rosso di 317 milioni dello stesso periodo dello scorso anno); l’utile operativo rettificato è di 2,85 miliardi ed è quasi quadruplicato il valore del primo semestre 2016 (771 milioni, mentre è quintuplicato nel secondo trimestre, a 1,02 miliardi contro i 188 milioni dei primi tre mesi); i ricavi raggiungono quota 33,6 miliardi (+25,9% sul 2016, con il secondo trimestre a quota 15,6 miliardi in rialzo del 16,6%). L’indebitamento a fine giugno è 15,5 miliardi (14,7 miliardi al 31 dicembre), ma è atteso in riduzione ad anno intero per effetto delle dismissioni portate a traguardo dal gruppo. Che, nei primi sei mesi, ha definito cessioni per 2,9 miliardi pari al 60% del target minimo previsto dal piano 2017-2020.
«Sono ottimi risultati - commenta l’ad Claudio Descalzi con il Sole 24 Ore - perché esprimono, da un lato, un grande potenziale, e, dall’altro, mostrano una grande reattività dell’upstream e una forte risposta del mid-downstream che ha più che raddoppiato i risultati. E ha fornito un contributo significativo sia sul fronte dell’Ebit (730 milioni nel complesso) che della cassa (oltre 600 milioni). È una performance estremamente positiva perché questi business, la chimica e la raffinazione, sono afasici rispetto alla commodity, che è salita di 10 dollari, e hanno performato molto meglio dello scorso anno». Segno, dice il ceo, «che c’è stato un cambiamento strutturale perché questi business sono riusciti a resistere anche a un aumento della commodity ed è questo il dato più importante dal mio punto di vista».
Quanto all’esplorazione e alla produzione, in cui Eni - che ieri ha anche designato un advisory board di esperti internazionali nel settore energetico presieduto dal consigliere Fabrizio Pagani - ha confermato i target 2017 (0,8 miliardi di barili di nuove risorse scoperte al costo unitario di circa un dollaro al barile e, sul secondo fronte, asticella ribadita a 1,84 milioni di boe/giorno, +5% rispetto al 2016), il ceo Descalzi si è soffermato sulla spinta assicurata innanzitutto dai «due elementi caratteristici» dell’upstream, «la dual exploration, cioè la capacità di generare cassa da una componente organica propria, e dallo sviluppo accelerato e integrato conl’esplorazione della parte di campi avviati». In meno di due anni, ha proseguito il ceo, «abbiamo nei abbiamo messi in produzione sei che sono partiti in anticipo e con uguali o minori costi». Nel solo primo semestre, il gruppo ha così messo in produzione quasi 200 mila barili da start-up e ramp-up e questo ha permesso, spiega Descalzi, «di smentire le attese di analisti e investitori preoccupati del possibile impatto collegato al fermo di Wafa in Libia e allo stop di tre mesi della Val D’Agri. E, invece, abbiamo conseguito 2,9 miliardi di Ebit e raggiunto i 4,64 miliardi di cassa nel semestre (di cui 2,71 miliardi solo nel secondo trimestre, ndr), raddoppiando il livello dello scorso anno». Senza contare poi che, aggiunge ancora l’ad, «la R&M nel suo complesso ha più che raddoppiato l’Ebit e la chimica ha fatto il 43%, centrando nel semestre i target fissati per l’intero 2017», con l’Ebit cresciuto del 40% annuo a 310 milioni. Descalzi non si mostra poi preoccupato dell’aumento sul fronte del debito: «Il gruppo sarà in grado di digerirlo anche grazie alla riduzione del capex, che sarà di 3,5 miliardi nel secondo semestre (in discesa dai 4,3 miliardi del primo, ndr), e all’apporto di 3,7 miliardi di entrate legate alla dual exploration», che arriveranno dal closing del Mozambico e dalla chiusura con Rosneft in Egitto. Ad anno intero, dunque, assicura Descalzi, «torneremo a essere quelli con il leverage più basso dell’industria», e, ricorda, «che continuiamo a pagare la cedola senza ricorrere allo scrip», ovvero senza assegnazione di nuove azioni.
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