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Calenda: «Su Fincantieri non arretriamo»

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la disputa con parigi

Calenda: «Su Fincantieri non arretriamo»

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(Ansa)
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Sarebbe sbagliato mettere in diretta relazione la vicenda Fincantieri con il ritorno di progetti, o se si vuole semplici discorsi, sullo scorporo della rete Telecom. Due vicende diverse, che è vero hanno in comune un elemento di non poco conto, cioè i rapporti con la Francia (che si tratti del governo o di una delle sue principali aziende, come Vivendi), ma sono giunte contemporaneamente a un punto critico solo per una beffarda coincidenza temporale. Perché le rappresaglie - ripetono i ministeri coinvolti nel dossier Fincantieri - non sono nelle corde di questo governo.

Le diplomazie sono al lavoro sottotraccia per una soluzione al caso Fincantieri-Stx, ma per il governo tutto questo non può avvenire stravolgendo la linea politica della fermezza di fronte alla virata di Macron che si ritiene sia maturata solo per questioni interne nel tentativo di tenere testa alla Le Pen in campagna elettorale. Così la partecipazione di ieri del titolare dello Sviluppo economico Carlo Calenda a un evento sull’Europa diventa soprattutto l'occasione per ribadire ai colleghi francesi che «l’Italia non si muove di un millimetro e non lo faremo martedì». «Il punto - dice in vista dell’incontro in programma con il ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire - è molto chiaro: non c’è verso che noi accettiamo il 50%, ovvero meno di quello che avevano i precedenti partner coreani. È una questione di rispetto e dignità. Questo non è un kindergarten dove due bambini litigano, è una cosa seria che mette in gioco il modo in cui si sta insieme in Europa». La strategia di nazionalizzare è nei poteri francesi, è il concetto, ma è giudicata una strategia sbagliata alla quale il governo italiano non vuole replicare con il medesimo errore: «Non si risponde nazionalizzando la Telecom, perché ad una fesseria non si risponde con una fesseria più grossa». Il pensiero va evidentemente a un inattuabile disegno di nazionalizzare il gruppo telefonico, ma non va confuso con il giudizio positivo in ottica industriale che per primo in un’intervista al Sole 24 Ore, prima dell’affondo di Macron, il ministro ha dato sulla possibile creazione di una società delle reti per la banda ultralarga. Del resto lo stesso Pd, con il presidente Matteo Orfini, a proposito di risposte alla mossa francese, ha parlato in questi giorni di «ritorno sotto controllo e proprietà pubbliche della rete telefonica», non dell’ex monopolista.

Soffiare sull’incendio non sarebbe probabilmente nemmeno saggio sotto il profilo diplomatico. Al contrario, in queste ore, a quanto risulta, e senza per questo da parte italiana contraddire la linea salda sul no ai nazionalismi, le diplomazie starebbero facendo dei passi avanti in vista dell’incontro di martedì. Una soluzione emersa nei giorni scorsi ovvero il controllo in due tempi - 50% solo temporaneo, poi nella fase 2 la parte italiana sale in maggioranza con un aumento di capitale - se opportunamente rivisitata potrebbe essere riconsiderata dai francesi che in un primo momento l’avevano accantonata. Nel frattempo ad esempio si potrebbe continuare a lavorare per perfezionare e se possibile rafforzare alcuni punti che stanno a cuore all’Eliseo, come uno scudo sulle competenze tecnologiche per rassicurare i francesi in merito alla partnership con la cinese CSSC. Ma non è l’unica ipotesi tecnica. Sul tavolo potrebbe anche esserci l’idea di un nuovo veicolo societario in cui riequilibrare le partecipazioni tenendo conto anche del gruppo della Difesa pubblico Naval Group e dei dipendenti.

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