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Così la paura «trasforma» la geopolitica in market mover

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borse sotto choc

Così la paura «trasforma» la geopolitica in market mover

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ieri le Borse Ue, sotto pressione per la notizia del lancio del missile nordcoreano, hanno chiuso in calo. Due settimane fa, dopo l’attentato a Barcellona, i listini avevano proseguito indifferenti per la loro strada. Perchè reazioni così differenti? In primis incide il timore dell’escalation militare. È l’impatto dovuto all’ansia del potenziale pericolo. Una paura che, a differenza degli atti terroristici, consegue ad un rischio sistemico. La variabile geo-politica in oggetto, infatti, coinvolge diversi Stati: dalle due Coree al Giappone fino alla Cina e gli Stati Uniti. Ovvio che, in un simile contesto, la reazione immediata sia, da una parte, di vendere il capitale di rischio; e, dall’altra, di cercare i beni rifugio (ad esempio l’oro). A fronte di una simile indicazione può obiettarsi: anche gli attentati in Europa provocano paura e timore. Vero! E, però, non hanno valenza sistemica. Tutt’al più possono amplificare gli effetti di altre variabili. Ma non sono market mover. La crisi in Asia, al contrario, sul medio-lungo periodo può impattare (tutti speriamo di no) la stessa congiuntura globale. Il mercato lo sa bene e, anche, per questo vende.

Ciò detto non è solamente il rapporto causa-effetto tra le minacce del dittatore della Corea del Nord e le reazioni degli altri Paesi. Incide lo stesso contesto in cui la crisi asiatica si va inserendo. Diversi esperti, ieri, hanno sottolineato l’accentuata debolezza del dollaro. Una dinamica che, a ben vedere, non avrebbe dovuto concretizzarsi. In simili situazioni, infatti, il biglietto verde è la classica valuta «forte». Perchè, allora, l’euro è andato oltre quota 1,20 rispetto alla moneta statunitense? Indubbiamente un ruolo lo gioca l’attuale debolezza politica di Donald Trump. Il Presidente americano, non bastasse l’ombra dell’impeachment, ha rapporti tesi con il Congresso. Le continue polemiche, oltre ai cambiamenti nel suo staff, rendono difficile considerarlo il «Commander in Chief». Tanto che, a fronte della crisi nordcoreana, i mercati esprimono la loro preoccupazione e vendono dollari. Quei biglietti verdi che, poi, scontano anche i dubbi rispetto all’ulteriore stretta monetaria da parte della Federal reserve. Nel settembre prossimo la Banca centrale dovrebbe avviare l’attesa riduzione dei re-investimenti sui titoli di Stato Usa. Una contrazione del suo bilancio, unita al rialzo dei tassi, finalizzata a riportare sul sentiero della normalità l’economia a stelle e strisce. L’obiettivo però, anche e soprattutto per l’incertezza sul fronte politico interno, potrebbe essere posticipato. Con il che, di nuovo, gli operatori sono indotti a vendere dollari. Certo: il calo della moneta americana, da un lato, crea ostacoli alle multinazionali europee (di qui il rosso di ieri di Francoforte); e, dall’altro, aiuta le esportazioni del «Made in Usa». Ciò detto però, nel breve, la crisi nordcoreana e l’incertezza a Washington incidono di più. Il tutto, poi, in attesa dell’imminente discussione sul nuovo tetto al debito pubblico americano.

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