A meno di due settimane dal passaggio di Harvey, un altro terribile uragano minaccia gli Stati Uniti, provocando forti tensioni sui mercati delle materie prime. È Irma, che si sta muovendo verso la Florida con venti fino a 280 chilometri l’ora: una potenza devastante, che lo classifica come un uragano di Categoria 5, «estremamente pericoloso» avverte il National Hurricane Center (Nhc). Si tratta del livello più temibile nella scala Saffir-Simpson, simile a quello di Katrina, che nel 2005 distrusse New Orleans.
La maggiore preoccupazione dei trader ieri non riguardava le infrastrutture petrolifere, bensì i prodotti agricoli. I futures sul succo d’arancia a New York, quelli del celebre film «Una poltrona per due», sono stati oggetto di scambi vorticosi, con volumi sei volte la media, che hanno fatto impennare di oltre il 6% le quotazioni del contratto per novembre, fino a un picco di 146,40 centesimi di dollaro per libbra: un rally simile a quello della benzina nell’attesa di Harvey, anche se il mercato del succo d’arancia è molto più piccolo e dunque più incline a violenti strappi di prezzo.
La Florida – che in vista del probabile impatto di Irma ha già dichiarato lo stato di emergenza – è il secondo produttore mondiale di arance, anche se il settore è da anni in declino, con circa 3 milioni di tonnellate attese per la stagione in corso (al primo posto c’è il Brasile con oltre 18 milioni di tonnellate). Due terzi delle sue coltivazioni di agrumi si trovano proprio nella parte meridionale della penisola, dove l’uragano Irma secondo l’Ngc potrebbe toccare terra entro il weekend.
Forti acquisti hanno interessato anche il cotone, salito di oltre il 4% all’Ice a 74,88 $/lb (consegna dicembre), il massimo da tre mesi. Dopo che l’uragano Harvey ha allagato parecchie piantagioni in Texas e nel Delta del Mississippi, ora si temono danni in Georgia e Carolina del Sud.
Nemmeno il petrolio è del tutto esente da rischi. Non si può infatti escludere una deviazione di Irma verso il Golfo del Messico e le coste della Louisiana. Al di là della Florida, osserva l’Nhc, «è troppo presto per determinare quali impatti diretti potrebbero esserci negli Stati Uniti continentali».
timori stanno crescendo. «La traiettoria attesa si è spostata notevolmente verso ovest negli ultimi due giorni – osserva Olivier Jakob, analista di Petromatrix – Potrebbe cambiare ancora nei prossimi due giorni, muovendosi ancora più a ovest».
Probabilmente è anche per queste incertezze che ieri il Wti si è apprezzato più del Brent: il riferimento americano ha chiuso la seduta in rialzo del 2,9% a 48,66 $/barile, quello europeo ha guadagnato il 2 % a 53,38 $.
Il recupero delle quotazioni del barile sembra comunque legato soprattutto al miglioramento della domanda, grazie al graduale rientro in funzione delle raffinerie nell’area colpita da Harvey (non a caso la benzina è di nuovo scivolata di oltre il 3% al Nymex).
Secondo il dipartimento dell’Energia restano tuttora chiusi otto impianti per un totale di 2,1 milioni di barili al giorno di capacità, ossia l’11,4%. Ma al picco dell’emergenza era ko quasi un quarto del sistema di raffinazione Usa, per un totale di 4,6 mbg.
Tra i giacimenti del Golfo del Messico e lo shale oil di Eagle Ford mancano invece all’appello 320mila bg di produzione di greggio, secondo Goldman Sachs. La banca stima che l’uragano Harvey abbia accresciuto le scorte Usa di circa 40 milioni di barili, ma ritiene che alla fine l’effetto potrebbe essere positivo per il mercato, in quanto le estrazioni potrebbero rimanere frenate a lungo, mentre la ricostruzione potrebbe fare da traino alla domanda petrolifera.
Un altro fattore rialzista per il petrolio è intanto arrivato dall’Arabia Saudita: la Saudi Aramco ha aumentato più del previsto i prezzi di listino del greggio per ottobre in Asia.
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