Tecnologia

I tempi della giustizia e quelli della tecnologia

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il paradosso

I tempi della giustizia e quelli della tecnologia

(Bloomberg)
(Bloomberg)

La Amd, che produce i chip rivali dell’Intel, non è mai andata tanto bene come in questi ultimi mesi. Proprio l’azienda che dovrebbe essere più delusa dalla decisione della Corte europea favorevole all’Intel nella causa sulle presunte pratiche anticompetitive avviata dalle accuse della Commissione europea, in realtà sta festeggiando. Perché sta difendendo la sua causa sul mercato e non in tribunale. Estrapolando i dati provenienti da un rivenditore tedesco che non fa mistero delle sue vendite, gli analisti come Ryan Shrout che ne scrive su MarketWatch sono in grado di affermare che Amd è cresciuta di quasi il 30% del marzo scorso e ha quasi raggiunto Intel nella quota di mercato per i pc commerciali. Naturalmente questo avviene nei mesi precedenti all’uscita dei nuovi processori Intel, ancora più performanti e in qualche misura destinati a far riguadagnare quote di mercato al gigante americano.

Ma il punto è che i tempi della giustizia sono ridicolizzati dai tempi della tecnologia. La vicenda della quale è accusata l’Intel si è svolta tra il 2002 e il 2007, quando il produttore di chip più grande del mondo poteva pensare di difendere una quota del 95% del mercato. La causa è iniziata anni dopo, in un momento in cui la Commissione pensava che Intel avesse almeno il 70% del mercato. E oggi prende un corso del tutto nuovo, favorevole all’Intel, mentre il gigante non è in testa alla classifica. E comunque non è prima nel vasto insieme della microelettronica, visto che la Samsung può vantare numeri più alti anche se non nei pc e nei server. In effetti, oggi il mondo dei personal computer non è più centrale nel vasto mondo dell’elettronica radicalmente trasformato da internet, soprattutto nella sua versione mobile: oggi gli smartphone da una parte e i server dall’altra sembrano molto più importanti. E a questi si aggiungono tutti gli oggetti connessi e digitalmente superdodotati, dalle automobili alla domotica, dai robot industriali agli elettrodomestici, che hanno a bordo altri chip, in qualche caso meno potenti di quelli dei pc, ma pesanti sul mercato e sui suoi sviluppi futuri.

La tecnologia, grazie all’effetto-rete, consente ai leader di conquistare posizioni dominanti che appaiono difficili da scalfire, anche nel caso di fortissimi interventi dei tribunali. Ma l’innovazione potenziale è sempre in agguato e in certi casi è tale da spiazzare i poteri tecnologici con un’efficacia che nessun tribunale sembra in gardo di raggiungere.

Il problema non è soltanto confinato al disallineamento funzionale tra la lentezza dei tribunali e la velocità della tecnologia. Il problema è che i tribunali e le autorità di governo non sono fatti per imparare rapidamente a confrontarsi con le conseguenze delle innovazioni tecnologiche: non sembrano interessati a interpretare la dimensione culturale dell’innovazione radicale, preferiscono tentare di ricondurre tutto a metafore e concetti abituali. La questione delle quote di mercato, per esempio, è particolarmente vecchia in un contesto che non soltanto le mette in discussione per via di competizione organica, ma tende a ridefinire costantemente i confini stessi dei mercati.

Questo non deve condurre a pensare all’irrilevanza dell’attività dei tribunali e delle autorità che lottano per salvaguardare la competizione. Anzi. È una sfida ad accelerare l’innovazione culturale di questi organismi. La civiltà giuridica europea ha troppa importanza per abbandonare il tentativo di difenderla, solo perché la sua organizzazione appare oggi inadeguata alla velocità dei fenomeni che deve governare.

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