Era stata tra i pionieri del petrolio in Iraq, in cui era sbarcata oltre un secolo fa. Oggi ha deciso di rinunciare: Royal Dutch Shell cederà le partecipazioni nei giacimenti Majnoon e West Qurna 1, mantenendo nel Paese solo le attività nel gas. La notizia, su cui da tempo circolavano indiscrezioni, è stata ufficializzata oggi. L’abbandono non è cosa da poco. La compagnia anglo-olandese l’anno scorso aveva ricavato dall’Iraq circa il 3,5% della sua produzione, ossia quasi 20 milioni di barili di greggio. La sua presenza nell’area ha radici lontane: risale al 1912, quando la Mesopotamia – che comprende parte dell’attuale territorio di Iraq, Siria e Kuwait – faceva parte dell’impero ottomano.
All’epoca la Anglo Saxon Oil Company, sussidiaria di Shell, era socia della Turkish Petroleum Company (con Deutsche Bank e la Banca nazionale turca), consorzio che ottenne le prime concessioni per la ricerca di petrolio in Iraq e che nel 1927 scoprì il giacimento gigante di Kirkuk.
Shell non sta troncando le relazioni con Baghdad. Tutt’altro. La compagnia, che con l’acquisto di Bg Group si è nettamente focalizzata sul gas, si concentrerà sullo sviluppo ed espansione della Basra Gas Company, joint venture di cui possiede il 44%, che si occupa del trattamento del gas estratto a Rumaila, West Qurna e Zubair.
L’uscita da Majnoon, di cui è Shell è operatore, con una quota del 45%, dipende probabilmente anche da dissidi sulla gestione del giacimento. I contratti di servizio offerti da Baghdad, già poco remunerativi, sono diventati ancora meno appetibili dopo i recenti tagli al budget imposti dal Governo. L’esecutivo iracheno, assicura un portavoce della compagnia, ha comunque «formalmente appoggiato la recente proposta di Shell di un rilascio amichevole e reciprocamente accettabile degli interessi». Shell inoltre ha messo in vendita il 20% di West Qurna 1, giacimento operato da ExxonMobil.
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