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Petrolio, in Europa e Usa è boom di consumi. E le scorte…

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Petrolio, in Europa e Usa è boom di consumi. E le scorte calano

Reuters
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Altro che fine del petrolio. La domanda – al traino non dei Paesi emergenti, bensì di Europa e Stati Uniti – è cresciuta del 2,4% nel secondo trimestre a ligello globale, ossia di ben 2,3 milioni di barili al giorno, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie): un balzo che non si verificava da due anni e che sta contribuendo in modo significativo allo smaltimento delle scorte in eccesso.

Nei Paesi Ocse quelle di prodotti raffinati sono ormai quasi in linea con la media degli ultimi 5 anni, il riferimento che l’Opec ha scelto come obiettivo dei tagli: il surplus a fine luglio era di appena 35 milioni di barili e l’Aie prevede che «molto presto», complice anche l’uragano Harvey, possa sparire del tutto.

Quanto agli stock di greggio, sono rimasti «invariati a 3 miliardi di barili in luglio, quando normalmente aumentano».

«I mercati petroliferi hanno iniziato a riequilibrarsi», afferma l’Agenzia, pur prevedendo una che il prezzo del barile si riprenderà solo in modo «molto modesto».

Le statistiche settimanali dagli Usa, aggiornate ieri, confermano la tendenza, anche se sono fortemente influenzate dall’effetto uragani, che ha costretto alla chiusura di numerose raffinerie in Texas e Louisiana.

Con gli impianti che lavoravano al 77,7% della capacità operativa, il minimo da nove anni a questa parte, e i trasporti di carburante ostacolati dal blocco di pipeline e terminal marittimi, gli americani hanno dato fondo alle scorte: quelle di benzine la settimana scorsa sono crollate di 8,4 milioni di barili, un record storico, quelle di distillati sono calate di 3,2 mb (dati Eia).

Per contro gli stock di greggio sono aumentati di 5,9 mb. I giacimenti non sembrano infatti aver subito danni e stanno tornando in funzione rapidamente: la produzione di greggio Usa è già risalita a 9,4 mbg, dagli 8,8 mbg della settimana precedente.

Gli investitori hanno preso i dati con le pinze, preferendo concentrarsi sul rapporto Aie e sulle mosse dell’Opec (i cui tecnici peraltro concordano con l’Agenzia Ocse nel cogliere segnali di riequilibrio del mercato petrolifero). Il ministro del Petrolio del Kuwait, Essam Al Marzouq, ha dichiarato che l’Opec potrebbe convocare un vertice straordinario a metà marzo, se al meeting di novembre non troverà l’accordo su una proroga dei tagli produttivi.

Anche le sue parole hanno contribuito a spingere in rialzo le quotazioni del greggio, con la prima scadenza contrattuale del Brent che ha chiuso a 55,16 $/barile (+1,6%), massimo da aprile, e quella del Wti a 49,30 $ (+2,2%).

Ha continuato intanto ad ampliarsi lo spread tra i due riferimenti: il Brent per novembre è arrivato a scambiare a premio di 5,62 $ sul Wti per lo stesso mese, un record da due anni.

Anche questo fenomeno è in parte legato agli uragani, che hanno indebolito la domanda delle raffinerie Usa, accelerando viceversa le lavorazioni in Europa, ma la tendenza era già in atto da qualche tempo, forse per via della forte produzione americana di shale oil.

L’Agenzia internazionale per l’energia ritiene che i danni alle raffinerie Usa potrebbero condurre per il secondo trimestre consecutivo a un deficit nella produzione globale di carburanti, mentre l’impatto di Harvey su domanda e offerta di greggio dovrebbe esaurirsi in tempi «relativamente rapidi».

La forza della domanda non verrà meno, secondo l’Aie, che per il terzo mese consecutivo ha alzato le previsioni: ora si aspetta che cresca di 1,6 mbg nel 2017 a 97,7 mbg (+1,7%).

Allo stesso tempo la produzione di greggio sta frenando: ad agosto per la prima volta da 4 mesi l’offerta globale è diminuita, di ben 720mila bg rispetto a luglio. Il calo è avvenuto per quasi due terzi in Paesi non Opec, a causa di manutenzioni o difficoltà tecniche impreviste. Il risultato è che i dieci Paesi alleati dell’Opec ora esibire un’aderenza del 100% ai tagli produttivi.

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