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«Più spazio alle strategie, e comunque ai soci spetta…

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IL NUOVO STATUTO UNICREDIT

«Più spazio alle strategie, e comunque ai soci spetta l’ultima parola»

Jean Pierre Mustier (Bloomberg)
Jean Pierre Mustier (Bloomberg)

«Nessuno meglio di chi siede nel board è in grado di valutare l'operato dei consiglieri, e le reali necessità della banca in termini di competenze e di capacità», dice Paola Schwizer, ordinario di Economia degli intermediari finanziari presso l'Università di Parma e presidente di Nedcommunity, l'associazione italiana degli amministratori non esecutivi e indipendenti. Di qui il giudizio positivo sulla riforma dello statuto approvata dal cda di UniCredit (e ora inviata in Bce), che prevede in capo al cda uscente la possibilità di presentare una lista per il rinnovo e la valorizzazione del ruolo degli indipendenti: «Con questa riforma della governance interna UniCredit si riappropria di quel ruolo di distruptor che in passato ha già più volte ricoperto», commenta.

Con la revisione dello statuto decisa in cda e fortemente voluta dal ceo Jean Pierre Mustier, UniCredit si allinea alla governance delle grandi banche europee e a una pattuglia ancora non molto nutrita di società italiane – Prysmian, Enel, Inwit le principali – che già oggi contemplano la lista del cda: «È bene ricordare che si tratta di una possibilità, che il board può decidere se sfruttare o meno».

Questione di opportunità, di persone, ma anche di strategie: «La priorità per un'azienda – ricorda – è quella di avere un piano strategico di medio-lungo periodo. Chi lo decide è il cda, e dunque è giusto che proponga ai soci una squadra di amministratori coerente, la più indicata a realizzarlo». Un'obiezione ricorrente, però, è che così facendo si rischia di rendere il board autoreferenziale, o comunque di allontanare il controllo dai soci: «Ai soci, per legge, spetta sempre l'ultima parola. Sono loro che votano in assemblea, sono loro che possono sempre decidere di proporre altre liste nel caso in cui non si sentano rappresentati da quella del consiglio».

Costruita su misura per le public company, la norma finirà per ‘allontanare' le società dai contesti territoriali che le hanno generate? «In Italia direi che i territori hanno fatto più danni che altro. Ma a parte questo, il punto rimane un altro e cioè le strategie: con la lista del consiglio ci si concentra sugli obiettivi dell'azienda e sulle modalità con cui il board intende raggiungerli. È su questo che si misurerà se e quanto sono allineati soci storici e istituzionali». «Oltre a superare alcuni problemi legati al voto di lista», con il potere di presentare le proprie candidature affidato al cda, è destinato in prospettiva a cambiare anche il ruolo della lista di minoranza tradizionalmente affidata ad Assogestioni: «È chiaro che tanto più sarà di qualità elevata, tanto più potrà raccogliere l'appoggio di soggetti che in passato hanno sempre sostenuto la lista di minoranza. Al punto di renderla, in talune circostanze, anche inutile».

Infine, gli indipendenti. «Più ce n'è e meglio è», osserva Schwizer. Con un'avvertenza, però: «L'indipendenza non si esaurisce in un insieme di requisiti formali: è questione di curriculum ma anche di capacità di esprimere indipendenza di giudizio. E anche qui chi meglio di un cda uscente è in grado di valutare le capacità espresse sul campo dai suoi consiglieri?».

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