Mediaset strappa ancora in Borsa nell’ultima ora di contrattazione. La seduta, che era iniziata al ribasso per il titolo del Biscione, si è animata sul finale con le quotazioni che hanno toccato quota 3,3 euro (+5% dalla chiusura precedente) verso le 16.40 per poi planare a 3,2 euro, comunque in rialzo dell’1,78%. Come lunedì, quando Mediaset aveva guadagnato oltre l’8%, gli scambi sono stati molto intensi, pari a quasi quattro volte la media dell’ultimo mese.
Ad attirare l’attenzione sul titolo, l’avvio di un negoziato con Vivendi (anticipato da «Il Sole-24 Ore» di sabato 7 ottobre) per cercare di risolvere con una transazione il contenzioso sorto sul mancato rispetto del contratto su Premium, firmato nell’aprile dello scorso anno. I contatti tra i legali erano in corso già da mesi perchè il tentativo di accordo extragiudiziale era stato “comandato” dal giudice in vista dell’udienza per la causa civile del prossimo 19 dicembre. Ma nelle ultime settimane il negoziato ha fatto un salto di qualità con il coinvolgimento al tavolo dei responsabili degli uffici legali delle due società: Frédéric Crépin per Vivendi, affiancato da Giuseppe Scassellati partner dello studio Cleary Gottlieb, e Pasquale Straziota per Mediaset che ha scelto come consulente Sergio Erede.
Le fiammate delle prime due sedute della settimana sono state accompagnate da voci, in parte riprese dalle agenzie internazionali, di un pacchetto risarcitorio dell’ordine di 1 miliardo. Vivendi ha opposto un “no comment” alle voci, mentre fonti Mediaset, sollecitata informalmente dalla Consob, hanno precisato tramite l’Ansa che «allo stato non ci sono novità nei rapporti tra le parti», aggiungendo che «sono da tempo in atto contatti tra i legali Mediaset e Vivendi per individuare possibilità di definizione della controversia generata dalla mancata esecuzione del contratto stipulato nell’aprile del 2016».
A quanto risulta da verifiche incrociate, non si sarebbe arrivati ancora al punto di mettere una proposta formale sul tavolo. Ma il tentativo di ricomposizione non può prescindere dal contratto in discussione, che aveva al centro la pay-tv Premium e il suo passaggio da Mediaset a Vivendi per un controvalore (in parte con scambio azionario) di 760 milioni. I due interlocutori, dunque, sono le parti contrattuali, Mediaset e Vivendi, anche se alla fine dovrebbe essere coinvolta in qualche modo la joint sui contenuti tra la media company transalpina e la sua “controllata” Telecom. Il quotidiano economico francese «Les Echo» ieri ha scritto che la tempistica per arrivare a un accordo è dell’ordine di due-quattro settimane. È un orizzonte temporale ragionevole, non solo perchè anticipa la data dell’udienza al Tribunale di Milano, ma soprattutto in vista dell’asta per i diritti della serie A che, al più tardi, dovrebbe tenersi entro la prima metà di dicembre. L’ipotizzata joint Canal plus /Tim - 20% la prima, 80% la seconda come base di partenza - è ancora un cantiere di cui è stato delimitato per ora il tracciato e difficilmente sarà pronta in tempo. Premium, invece, è una piattaforma con due milioni di abbonati e le partite del campionato italiano e della Champions League ancora per un’altra stagione: perse le gare europee, che Sky si è aggiudicata per il prossimo triennio, la pay-tv è ancora in lizza per la Serie A.
Vivendi, dunque, potrebbe puntare a rilevare Premium, in tempo utile per la prossima asta, ma certamente non alle condizioni concordate in origine che ha contestato. Per arrivare a pareggiare il contenuto economico del contratto disatteso, sul piatto dovrebbero essere messi contenuti in esclusiva forniti da Mediaset. Se Vivendi riuscisse a trovare un accordo con Mediaset sul quantum, in un secondo tempo potrebbe - come logico - conferire la pay-tv alla joint con Tim, riequilibrando così le quote azionarie. Il “vantaggio” di questo schema è che l’operazione, in quanto infragruppo, non dovrebbe ottenere l’autorizzazione dell’Agcom, tra l’altro con il conseguente risparmio di tempo. Ovviamente, a condizione che Vivendi ridimensioni la quota in Mediaset al di sotto del 10%, che l’Autorità delle comunicazioni giudica un limite massimo per non violare la normativa italiana. Ma, compromessa ormai la fiducia con il mancato alleato, nemmeno Mediaset-Fininvest si renderebbero disponibili a rinunciare al contenzioso senza togliersi la spina dal fianco dell’ingombrante socio-scalatore. A riguardo è da immaginare che al tavolo del negoziato, quando sarà il momento, la parte che fa capo alla famiglia Berlusconi farà valere il rispetto del contratto che poneva un tetto del 5% alle partecipazioni incrociate.
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