Il calcio è a più grossa industria di intrattenimento in Europa: con 18 miliardi di euro superano qualsiasi altro sport e qualsiasi altro svago, dalla musica al cinema al teatro. È un’osservazione quasi lapalissiana: gli stadi sono (molto spesso) pieni; le tv fanno il pieno di audience con decine di milioni di spettatori; non risulta che librerie, sale e discoteche riescano a fare numeri comparabili. Tanto per fare un paragone, è come il budget di tutta l’Italia. La manovra economica per il 2018 è da 20 miliardi.
Il calcio è il nuovo vero business globale nell'era dell’economia digitale. E come ogni industria internazionale si sta sempre più polarizzando: quei 18 miliardi sono di fatto generati solo dai principali 31 club sportivi, che di fatto sono poi le grandi squadre dei campionati più ricchi e prestigiosi, dal Barcellona al Chelsea. Gli altri centinaia di club sparsi per il Vecchio Continente si spartiscono le briciole. I dati sono stati rivelati oggi da Andrea Agnelli, presidente della Juventus FC, nel corso dell'assemblea dei soci oggi all’Allianz Stadium.
Il vero fenemono economico, però, è l’espansione dell’«Industria Cacio». Negli ultimi anni gli introiti per i club sono saliti di 5 miliardi da 13 a 18 miliardi.E' stato un vero e proprio boom: una crescita del 40%. Nessun economia è cresciuta così tanto in Europa, alle prese con Pil anemici, disoccupazione giovanile dilagante e consumi stagnanti. Metà dell'incremento (2,4 miliardi su 5) è venuto dalle prime 12 squadre che hanno visto balzare i loro introiti da 3,4 a 5,8 miliardi. Il Re del Calcio è il Manchester United che svetta con un giro d'affari di 690 milioni di euro.
Il grosso del giro d’affari, del Manchester e di tutti gli altri, viene dai diritti sportivi: i club incassano soldi dalle televisioni che pagano per trasmettere le partite. E qui si apre un grossa incognita in Italia: non sono stati ancora assegnati i diritti tv per il prossimo triennio ma c’è grossa confusione. Da una parte le tv, Mediaset, Rai e Sky in testa (ma anche il ruolo di ibridi come Netflix e Facebook), che non vogliono strapagare il calcio (ma di cui non possono fare a meno per avere spettatori); dall’altra i club, che invece vogliono massimizzare l'incasso perché i calciatori sono sempre più costosi. Una prima asta è andata deserta e una secondo tentativo si terrà a dicembre. I club si trovano in una sita kafkiana: il grosso dei loro introiti viene da un business che non gestiscono loro ma che è dato in appalto a terzi (la Lega Calcio e soprattutto i suoi advisor). «Al momento la Juventus non può fare alcuna programmazione calcistica e patrimoniale per la prossima stagione perché non sappiamo quanti ricavi avremo» lamenta Agnelli. La Legge Melandri prevede che il 20% marginale della torta dei diritti venga redistribuito: la Juventus chiede che queste risorse vadano alle squadre che lottano in Europa, in competizioni internazionali.
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