Un tesoro di oltre trenta tonnellate di lingotti d’oro, per un valore di 1,7 miliardi di dollari, in mano a una banca commerciale, per la precisione la tedesca Deutsche Bank. Potrebbe essere finita così l’ennesima disperata operazione finanziaria del Venezuela, che da anni sta cercando ad ogni costo di rinviare un default che adesso sembra davvero imminente.
A denunciare la vicenda – che non ha ancora ricevuto conferme ufficiali né da Francoforte né da Caracas – è il deputato venezuelano Angel Alvarado, membro della commissione Finanza dell’Asamblea Nacional, che dal 2015 è guidata dall’opposizione al presidente Nicolas Maduro.
«Maduro ha lasciato scadere uno swap sull’oro con Deutsche Bank da 1,7 miliardi di dollari. Abbiamo perso quei lingotti perché continuiamo a negoziare nel modo sbagliato!», ha scritto via Twitter Alvarado.
L’operazione di cui parla il deputato è un contratto che Caracas aveva sottoscritto l’anno scorso, in base al quale la banca tedesca aveva concesso 1,2 miliardi di dollari in contanti a fronte di una garanzia in lingotti per 1,7 miliardi: ai valori attuali si tratterebbe di 1,3 milioni di once, ossia 36,9 tonnellate di oro. Il denaro doveva essere restituito entro metà ottobre, spiega Alvarado, oppure si doveva rinvegoziare. Ma Caracas ha fatto né l’una né l’altra cosa. La proprietà dell’oro passa quindi a Deutsche Bank, che le verserà un conguaglio di 500 milioni.
La somma potrebbe essere preziosa per il Venezuela, che non ha più denaro per onorare gli interessi sui debiti e potrebbe andare in default già questo venerdì se Pdvsa, la compagnia petrolifera di Stato, non pagherà una cedola da 984 milioni di dollari su un obbligazione che non prevede periodi di grazia.
Caracas questo mese ha già saltato il pagamento di interessi su sette bond, per un totale di 590 milioni, ma in quei casi è previsto un periodo di grazia di 30 giorni. Le sue riserve valutarie sono ridotte ad appena 9,86 miliardi di dollari, di cui circa 500 milioni in contanti. Il resto è in oro.
Anche le riserve aurifere sono crollate: i dati più recenti del Fondo monetario internazionale le davano a 188,1 tonnellate a fine agosto, addirittura dimezzate rispetto al 2012.
Caracas, che ha debiti per 140 miliardi di dollari in mano a investitori stranieri, finora è sempre riuscita a onorare gli impegni con i creditori. Ma la sua solvibilità è stata pagata a caro prezzo dal popolo venezuelano, costretto ad ogni genere di privazione, e dalle casse dello Stato. L’oro delle riserve è stato venduto a più riprese, oppure impegnato con banche in cambio di liquidità: il contratto di swap con Deutsche Banck non è l’unico su cui siano circolate indiscrezioni. Nel 2015 il Venezuela ne avrebbe siglato uno simile con Citigroup, mentre in precedenza c’erano stati rumor su trattative con Goldman Sachs, BofA-Merrill Lynch e Credit Suisse.
Un gruppo di parlamentari venezuelani, tra cui lo stesso Alvarano, lo scorso aprile aveva inviato una lettera alle principali banche di Wall Street esortandole a non cedere alle richieste di simili accordi da parte di Caracas, perché in questo modo avrebbero «sostenuto un governo che la comunità internazionale riconosce come dittatoriale>.
© Riproduzione riservata