Nella famosa storia di Riccioli d'oro e i tre orsi, la giovane Riccioli d'oro afferma di preferire il porridge che è della giusta temperatura, né troppo caldo né troppo freddo. Volenti o nolenti, dal punto di vista economico, siamo entrati in una fase analoga, quella del «quanto basta», che gli addetti ai lavori definiscono “Goldilocks economy” (l’economia dei riccioli d’oro).
Un ciclo economico che si regge su un equilibrio molto fragile e paradossale dato che funziona ma a patto che la crescita resti moderata. Una brusca accelerazione del Pil mondiale non sarebbe pertanto vista di buon occhio dalla “Goldilocks economy”, perché spingerebbe le banche centrali ad alzare troppo i tassi di interesse per frenare eventuali impennate dell’inflazione.
Alzare di molto i tassi con un mondo che per superare le ultime crisi ha alzato di molto l’asticella del debito (a livello globale ha superato i 200mila miliardi di dollari) equivarrebbe ad accendere la miccia di una bomba.
«Riccioli d'oro, persa nel bosco, si è imbattuta nella casa dei tre orsi, trovando ciò di cui aveva bisogno. Allo stesso modo, le economie sono inciampate in un periodo di modesta crescita e bassa inflazione- spiega Vincent McEntegart, gestore del Kames global diversified income fund -. Certo la cosiddetta “Goldilocks economy” non era la destinazione che si andava perseguendo. Si cercava e voleva di più e ora il rischio è quello che un cambiamento delle fondamenta possa essere doloroso, sia per il valore degli asset che per le casse dei singoli Paesi».
La crescita economica globale è stata del 3,4% nel 2016, mentre quest'anno è atteso un +3,6%. Questo è un trend positivo, anche se non universale. Nonostante gli sforzi messi in campo da regolatori e banche centrali per sostenere crescita e inflazione, la realtà è che molte economie stanno mantenendo un ritmo moderato.
Il mistero dell’inflazione
Il governatore della Federal Reserve Janet Yellen ha recentemente dichiarato che quello dell’inflazione (che non cresce) resta un mistero. Ma in realtà la bassa inflazione è uno degli ingredienti necessari per il funzionamento ottimale della “Goldilocks economy”. «A fronte di un mercato del lavoro vicino al pieno impiego, la crescita dei salari resta molto timida. Potrebbe trattarsi di un fattore temporaneo, di un intoppo di tipo ciclico (che è la tesi della Fed), ma potrebbe anche trattarsi di una dinamica più duratura ricollegabile ad elementi strutturali quali lo shock tecnologico (“effetto Amazon”), l'andamento della curva demografica e una crescita della produttività strutturalmente più bassa rispetto al passato - argomenta Fabrizio Santin, investment manager di Pictet asset management -. L'inflazione contenuta ha permesso alle banche centrali di essere gradualiste nella rimozione dello stimolo monetario, come confermato da Draghi nel corso dell'ultimo riunione della Bce: il piano di acquisti è stato dimezzato, passando dagli attuali 60 miliardi a 30 miliardi al mese, ma la “forward guidance”, ossia l'indicazione sul sentiero futuro dei tassi, rimane estremamente forte suggerendo il primo rialzo dei tassi sui depositi non prima della seconda metà del 2019».
Rischio “taper tantrum”
Il punto è proprio questo: cosa accadrà quando le banche centrali dreneranno la liquidità sinora immessa sui mercati (oltre 15mila miliardi di dollari dal 2009, 2.500 solo lo scorso anno)? Nel 1994 e nel 2015 i mercati reagirono molto male ad annunci di “tapering” (fine degli stimoli monetari) con forti ribassi (che furono definiti “taper tantrum”).
Accadrà qualcosa di simile anche nei prossimi anni? «Nonostante le difficoltà che si stanno riscontrando nel dare una spinta all'inflazione, le banche centrali sembrano non aver ancora perso la loro fiducia nella “curva di Phillips” (secondo cui il calo della disoccupazione fa salire l’inflazione e viceversa, ndr) o nel fatto che, prima o poi, l'indice dei prezzi tornerà ad allinearsi ai target - indica il team di AllianceBernstein -. Nel frattempo gli istituti stanno iniziando a rimuovere gli stimoli monetari: dopo Federal Reserve e Bank of Canada, anche la Banca centrale europea ha finalmente alzato il velo sull'avvio – graduale e potenzialmente momentaneo – del tapering e tra poco dovrebbe essere il turno della Bank of England, pronta ad un rialzo dei tassi».
«A mancare all'appello è la Bank of Japan - continuano gli esperti - intenzionata a mantenere la rotta. Tokyo da sola, tuttavia, non sarà sufficiente per evitare una svolta meno bond-friendly della politica monetaria internazionale. Lo scenario diventerà più complesso, in generale, per tutti gli asset a maggiore rischio, ma finché la crescita continuerà solida, l'inflazione bassa e le banche centrali caute, non c'è motivo di temere un sell-off generale».
Gli insegnamenti del passato
Per provare a capire la ricaduta sui mercati, osserviamo l'ultimo ciclo di rialzo della Fed che ha visto 17 rialzi dello 0,25% nel corso di due anni. In quel caso, sia l'indice dei Treasury decennali, sia il mercato obbligazionario high yield americano hanno prodotto rendimenti annuali positivi. I bond sono estremamente sensibili alle politiche sui tassi di finanziamento.
«Certo, se si osserva il caso del 1994, anno in cui Washington ha agito in maniera più repentina e inaspettata, il 10-year US Treasury Index ha ceduto quasi il 4% - concludono gli analisti di . La situazione attuale, però, è più simile a quella del 2004 e, di nuovo, se la comunicazione continuerà ad essere chiara, anche l'obbligazionario procederà con una buona performance».
La parola d’ordine per le banche centrali è quindi “cautela”. Cautela nel provare a normalizzare i tassi e a porre fine alle politiche espansive. Non a caso la Yellen ha detto che «sarà come vedere la vernice asciugarsi», proprio per dare l’idea dell’atteggiamento molto graduale che la Fed intende adottare.
«Le banche centrali stanno cercando di cambiare il loro atteggiamento sui tassi nella maniera più pacata possibile - sottolinea Diego Toffoli, senior advisor & portfolio manager di Intermonte advisory e gestione -. Tutto ciò conferma che i prezzi dei bond rimarranno sui livelli attuali ancora per lungo tempo soprattutto in Europa e allo stesso tempo i rendimenti ancora risicati spingeranno ad investire ulteriormente nel mercato azionario dove il dividend yield è più interessante. Sembra quindi che questo status possa proseguire ancora».
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