Per il salvataggio di Banca Carige sono giorni e, forse, ore decisive. In ballo non c’è solo il futuro della storica banca dei liguri. Né l’inevitabile bagarre politica che il caso Genova potrebbe scatenare nei lavori della commissione d’inchiesta parlamentare sulle banche. In discussione, per poche decine di milioni di euro, c’è il futuro dell’intero sistema delle banche medie italiane proprio nella fase in cui si segnalavano segnali di miglioramento. Se Carige dovesse finire in procedura di «resolution» secondo le nuove (o vecchie?) regole Ue, finora mai pienamente applicate né nel caso di Mps né delle due banche venete, anche gli aumenti di capitale pianificati o in arrivo da altre medie banche sarebbero a rischio. Riaprendo un allarme sulle banche e sul sistema Italia che ormai anche le agenzie di rating escludevano come visibile all’orizzonte.
La soluzione del caso Carige dipenderà nelle prossime ore dalle scelte di una grande famiglia di imprenditori (i Malacalza, che hanno il 17-18% del capitale) e da tre grandi istituzioni finanziarie come Generali, Intesa e Unipol, esposte complessivamente per circa 60 milioni da convertire in bond o in equity. Decideranno di sottoscrivere l’aumento? Dopo aver salvato con i fondi dei propri azionisti i risparmiatori di dieci banche (da Etruria in poi), gli investitori internazionali hanno diffidato le grandi banche italiane dalla dispersione di capitali per la tutela del sistema. I valori in campo sono minimi in assoluto, e addirittura risibili per le tre grandi banche d’affari che si erano impegnate per il buon esito della garanzia. Ma dalle scelte di queste poche istituzioni dipende non solo il futuro di Carige ma di buona parte del sistema finanziario italiano.
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