Finanza & Mercati

«Mps poteva sostenere Antonveneta»

  • Abbonati
  • Accedi
In primo piano

«Mps poteva sostenere Antonveneta»

  • –Davide Colombo

roma

Non è stata solo l’acquisizione di Antonveneta a determinare la lunga crisi di Mps. I dati di bilancio 2008 del Monte dicono anzi che la banca «ce la poteva fare» a sostenere quell’operazione. Poi però «è arrivata la tempesta perfetta» con la crisi del debito sovrano. Il capo della Vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo, che all’epoca dei fatti non era nel ruolo apicale di oggi, nella lunga audizione di ieri in Commissione d’inchiesta è tornato più volte su questa riflessione “con il senno di poi” sollecitata dalle infinite domande dei parlamentari. Rispondendo a Matteo Orfini (Pd) Barbagallo ha puntualizzato che «il senno di poi era sapere anche che gli interlocutori (i vertici Mps ndr) dicevano il falso». Fatti gravi, oggi al vaglio del giudice penale. E, ancora, che nel “senno di poi” c’era, appunto, la crisi globale che sarebbe scoppiata pochi mesi dopo il deal.

Dietro la caduta di Mps c’è invece di più, ha spiegato Barbagallo nell’introduzione della sua audizione, una seduta durata un giorno intero e intervallata da diverse sospensioni della diretta web con segretazione di domande e risposte. Nella crisi un ruolo significativo lo ha avuto l’ex socio di riferimento, la Fondazione, (deteneva il 49% del capitale,ndr) «che ha inteso mantenere a lungo, anche quando non ce n’erano più le condizioni, una posizione di dominio o comunque di rilievo, erodendo il proprio patrimonio e indebitandosi». Una pressing senza fine sulla banca, che ha cercato di rispondere «con politiche di sostegno incondizionato del reddito» fino a che ha potuto. Politiche che, dopo l’acquisizione di Antonveneta, sono poi diventate insostenibili.

L’audizione ha dato conto delle numerose ispezioni della Vigilanza che si sono alternate in Mps dal 2006 in avanti mettendo in luce i diversi fronti di rischio cui era esposta la banca senese: il rischio finanziario e il rischio di credito, che alla lunga ha pesato più del primo minando l’equilibrio economico e patrimoniale. Tra il 2009 e il 2010, subito dopo l’acquisizione di Antonveneta, anche per effetto dei piani di ristrutturazione imposti dalla Commissione Ue nell’ambito degli aiuti di Stato, gli impieghi di Mps sono calati di 30 miliardi (da 160 a 130 circa), mentre i crediti deteriorati (Npl), che erano stati erogati per l’80% prima del 2012, sono cresciuti progressivamente fino al 2014, a quota 45 miliardi. Gli Npl hanno generato in dieci anni perdite per 26 miliardi, mentre il Monte realizzava ricavi netti per 12 miliardi. Certo, il peso di Antonveneta c’è stato. Ma non è stato decisivo. «All’atto dell’acquisizione - ha spiegato Barbagallo - i prestiti della ex banca veneta presentavano una rischiosità più accentuata rispetto a quelli del Monte ma la loro incidenza su quelli del gruppo era di poco superiore al 20%. Inoltre, a fine 2016, la quota di crediti deteriorati erogati nel Nord-Est è pari al 18% degli Npl del gruppo».

Insomma l’autorizzazione all’acquisto di Antonveneta firmata dall’allora Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, secondo Barbagallo anche con il “senno di poi” sarebbe stata data. Il Monte del Paschi «guadagnava tanto: nel 2007 1,3 miliardi, pari a un punto dell’attivo a rischio e poi c’era un procedimento di validazione dei modelli interni in corso che le dava un beneficio di 2 miliardi di patrimonio». E il contesto vedeva prevalere la logica di mercato: dopo le operazioni di aggregazione tra Unicredit e Capitalia e tra Intesa e Imi-SanPaolo la banca di Siena puntava a diventare il terzo polo nazionale. Non ci fu una comunicazione preventiva perché non era più obbligatoria, come non lo era la due diligence. Mentre sul prezzo pagato, Barbagallo ha ricordato che in quel tempo le acquisizioni si realizzavano con multipli da 2 a 3,6, pagati per prendere controllo delle banche-preda. E per Antonveneta si pagò un multiplo di 3,1 «che non determinò un warning fortissimo».

Tornando alle scelte di gestione e ai crediti anomali di Mps, Babagallo ha poi ricordato che a fine 2016 erano ripartiti tra quasi 190mila debitori: «frazionati e distribuiti lungo tutto il territorio nazionale, e per l’84% essi riguardano imprese, in larga parte medio-piccole, e i prenditori che hanno ricevuto prestiti singolarmente superiori a 25 milioni sono 107 e rappresentano, per ammontare, il 12,7% del credito deteriorato totale».

Oggi la Commissione d’inchiesta sentirà l’ad e il presidente di Mps, Marco Morelli e Alessandro Falciai, «che consegneranno l’elenco dei 100 grandi debitori inadempienti» ha annunciato il presidente, Pier Ferdinando Casini. Altra convocazione annunciata per il giorno successivo è quella del direttore generale del Tesoro, Vincenzo La Via, per audirlo sui rapporti tra lo Stato e il Monte dei Paschi, in particolare sui Tremonti Bond e sui successivi Monti Bond concessi alla banca. Doveva venire dopo il 7 dicembre a causa di impegni internazionali ma il vicepresidente, Renato Brunetta, ha manifestato il suo stupore per il rinvio e la convocazione è stata anticipata. Settimana prossima si passerà all’esame dei casi delle quattro banche finite in risoluzione nel novembre del 2015.

© RIPRODUZIONE RISERVATA