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Dietro le quinte del vertice Opec s’inflitrano tensioni geopolitiche

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Dietro le quinte del vertice Opec s’inflitrano tensioni geopolitiche

(Reuters)
(Reuters)

Le tensioni geopolitiche da un lato hanno accelerato il rally del petrolio, ma dall’altro stanno complicando le relazioni all’interno dell’Opec, che al vertice di giovedì dovrà decidere insieme alla Russia e agli altri Paesi alleati se estendere – e per quanto tempo – la durata dei tagli di produzione.

Nessuno si spinge a prevedere una rottura: al contrario, il mercato si aspetta che sarà annunciata una prosecuzione dell’intervento. Sui dettagli dell’accordo – e in particolare sulla sua durata – tuttavia si sta ancora discutendo, in un clima che nella cosiddetta Opec Plus non è più disteso come ai tempi del vertice precedente.

Rispetto a maggio, molti Paesi della coalizione sono divenuti più instabili e i rapporti nella coalizione si sono deteriorati su più fronti.

L’elenco dei focolai di crisi è lungo e non riguarda soltanto il Medio Oriente. La situazione in Venezuela ad esempio è precipitata, al punto che al prossimo vertice Opec sarà un militare a rappresentare Caracas: il generale maggiore Manuel Quevedo, che il presidente Nicolas Maduro – con una mossa a sorpresa, annunciata domenica – ha messo alla guida sia del ministero del Petrolio che della compagnia Pdvsa (al posto rispettivamente di Eulogio Del Pino e Nelson Martinez).

Tra i maggiori creditori del Paese sudamericano, che da poco è andato in default, c’è la Russia: Rosneft ha appena rinegoziato una parte dei debiti, in sostanza concedendole tempo in cambio di barili di greggio.

È però il Golfo Persico l’area in cui i rapporti sono cambiati di più, rispetto al vertice Opec di maggio. In Arabia Saudita il principe Mohammed bin Salman ha rafforzato ulteriormente il suo potere, con una spettacolare purga degli oppositori. Contemporanemente Riad si sta anche riposizionando sul fronte internazionale, con ripercussioni dirette sui rapporti nell’Opec.

«Le tensioni geopolitiche tra Arabia Saudita e Iran sono ai massimi da oltre un anno e potrebbero filtrare nella stanza delle trattative» , avverte Jason Schenker, di Prestige Economics, compromettendo l’esito del vertice di Vienna.

Solo la settimana scorsa Mohammed bin Salman ha definito Ali Khamenei, guida suprema della Repubblica islamica, «l’Hitler del Medio Oriente». «La scelta del paragone, fatta poco prima di raggiungere l’Austria, Paese in cui Hitler è nato, forse è una coincidenza – osserva Schenker – ma di certo è un cattivo presagio».

I sauditi – decretando l’embargo contro il Qatar in alleanza con gli Emirati arabi uniti – hanno anche spaccato il fronte dei produttori del Golfo Persico, che un tempo si muoveva compatto nelle politiche petrolifere. Il Kuwait non si è schierato, ma i rapporti si sono raffreddati al punto da influire sulle politiche Opec. «I ministri e delegati del Golfo – raccontano fonti Reuters –avevano un gruppo in WhatsApp che di solito aveva discussioni molto animate. Ora è morta»

Anche l’Iraq, Paese mai davvero pacificato e da sempre “problematico” per l’Opec, è ancora più instabile rispetto all’ultimo vertice Opec. A settembre c’è stato il referendum per l’indipendenza del Kurdistan, sfociato in scontri armati e in difficoltà anche per l’industria petrolifera. Mosca (alleata nei tagli Opec) ha peraltro sfidato apertamente Baghdad accelerando gli investimenti nei pozzi sotto controllo curdo.

L’Iraq stesso continua imperterrito a promettere un’espansione della sua produzione petrolifera. Ieri il ministro del Petrolio iracheno Jabar Al Luaibi ha invitato le major straniere a competere per nuove licenze di esplorazione che intende assegnare in nove blocchi, di cui cinque al confine con l’Iran. I termini della gara, ha promesso, saranno annunciati entro maggio.

Anche la Russia sta sviluppando i suoi giacimenti e fatica a tenere a freno le sue compagnie, sempre più insofferenti ai tagli di produzione. Fonti Reuters riferiscono che anche ExxonMobil starebbe facendo pressioni per espandere la produzione a Sakhalin-1, in cui è socia di Rosneft. L’output del giacimento potrebbe salire di circa un quarto, a 250-260mila barili al giorno, fin da gennaio.

L’indiscrezione, se confermata, darebbe ulteriore corpo alle titubanze di Mosca, che esita a piegarsi fin d’ora all’impegno di prolungare i tagli fino al termine del 2018.

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