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Il «tesoro» da 3,5 trilioni della Finanza islamica

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Il «tesoro» da 3,5 trilioni della Finanza islamica

Dimenticate i bitcoin, studiate il Corano. Il futuro megatrend dell’economia mondiale è la Finanza Islamica che ha raggiunto i 2,5 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari. E tra 4 anni si calcola che raggiungerà i 3,5 trilioni.

Finanza e Islam sono un ossimoro: la legge coranica vieta di usare il denaro per ottenere altro denaro. Ecco dunque che, per bypassare un divieto religioso, sono nati i Sukuk, titoli compatibili con la Sharia.

In 15 anni, questi bond sono arrivati a sfiorare il trilione di dollari. Nel 2001 il mercato muoveva meno di 20 miliardi: oggi i Sukuk, ovvero le emissioni di bond islamici, sono 45 volte tanto. Una velocità pari soltanto al boom delle criptovalute, che però non sono un investimento ufficiale, riconosciuto dalle autorità monetarie, nè tantomeno regolamentato.

I Sukuk rappresentano la forma più diffusa di finanza islamica: obbligazioni che investono esclusivamente in immobili o un qualsiasi asse reale che produca una rendita, che serve a sua volta a pagare la cedola. Così si aggira il divieto: una complessa struttura finanziaria per avere di fatto lo stesso effetto di normale BoT.

I Sukuk, per la maggior parte titoli a tasso fisso, rappresentano il 17% della finanza islamica (il 73% è liquidità depositata in banche autorizzate dalle scuole coraniche). Nel 2016 sono stati emessi titoli per 88 miliardi di dollari: un’impennata del 44%, rivelano i dati dell’IIFM (International Islamic Financial market, authority regolatoria del mondo arabo). Nessuna asset class tradizionale ha messo a segno una performance simile. Il mercato si è ripreso dopo due anni di calo che avevano fatto penare a una morte prematura: dal 2001 l’emissione di Sukuk era sempre andata crescendo, fino all’anno record 2012, quando si toccarono i 137 miliardi di bond. Cifra mai più raggiunta. Poi un brusco crollo: nel 2015 il mercato si era praticamente dimezzato, con soli 60 miliardi, un livello che ha riportato le lancette dell’orologio indietro di 5 anni.

Il rimbalzo del 2016 è stato spinto dal mini-boom di Sukuk internazionali a breve termine: praticamente inesistenti fino al 2012, hanno superato i 9 miliardi l’anno scorso. La ripresa è robusta: a fine mese, stima l’agenzia Moody's, i Sukuk del 2017 raggiungeranno i 95 miliardi. E il prossimo anno, è la previsione del vice direttore generale Christian de Guzman, l’ammontare salirà a 148 miliardi, toccando un nuovo picco storico.

Il king maker della finanza islamica è la Malesia: il paese musulmano del sud-est asiatico guida con 300 miliardi di dollari di emissioni in 15 anni. A Kuala Lumpur, peraltro furono i primi a lanciare un Sukuk sul finire degli Anni ’90. A oggi ne hanno emessi per più di 2400 miliardi. Seguono il Sudan, con 16 miliardi e la minuscola monarchia del Bahrain: la città-stato dove questi giorni si sta svolgendo la 24esima edizione della World Islamic Banking Conference, il congresso mondiale del settore, ha emesso bond musulmani per 14 miliardi, una cifra spropositata rispetto alle dimensioni del paese (con appena 700mila abitanti), che lo incorona come la Svizzera del Golfo Persico. Si è allargata anche la platea dei paesi: la Giordania (con un bond da 50 milioni) e il Togo hanno recentemente debuttato nei Sukuk.

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