Il mondo “nerd” del Bitcoin sta per approdare nell’universo della finanza mainstream. Da lunedì infatti sarà possibile scambiare future sulla criptovaluta più famosa al mondo sul più importante mercato delle opzioni, il Chicago board option exchange. Un passaggio epocale che però non piace alle grandi banche, sempre più preoccupate dell’avanzata “ideologica” delle valute digitali e, nel caso specifico, di dover garantire nelle stanze di compensazione eventuali default dei piccoli trader che potrebbero essere causati dalla volatilità del Bitcoin.
Va detto che in questo caso, a differenza di quanto accade per un titolo quotato su un mercato regolamentato, la volatilità è al quadrato. C’è un primo livello legato all’oscillazione del prezzo (e questo riguarda qualsiasi merce o asset finanziario). Il secondo livello di volatilità - tipico delle criptovalute - è legato al fatto che non esiste un prezzo universalmente riconosciuto. Le quotazioni cambiano sensibilmente da una piattaforma di scambio all’altra. Prendendo ad esempio alcuni tra gli “exchange” più utilizzati per tradare Bitcoin ieri emergevano prezzi distanti anche di 600 dollari. Su Bitstamp un Bitcoin costava 14.879 dollari mentre nello stesso minuto chi avesse voluto comprarlo su Coinbase (da ieri l’app più scaricata su iTunes) avrebbe dovuto sborsarne 15.426. Il confronto potrebbe estendersi a svariati altri luoghi di scambio digitali dove i prezzi ballano ancor di più. Mercoledì - una delle giornate più pazzesche in termini di volatilità - la distanza tra gli exchange ha addirittura superato 8.000 dollari. A chi lo vendeva a 13mila si contrapponeva chi segnava nel book un prezzo di 21mila dollari.
Nel mondo della finanza regolamentata ciò non può accadere. Gli algoritmi impediscono che ci siano arbitraggi tra titoli della stessa società quotati su due mercati (ad esempio Francoforte e New York). «Il mondo delle criptovalute è invece pieno di arbitraggisti - spiega Sebastiano Scròfina, esperto di Bitcoin nonché responsabile blockchain in EarlyMorning Finance -. Tecnicamente è possibile acquistare un Bitcoin da una piattaforma a un prezzo più basso e rivenderlo tramite un’altra a un prezzo più alto. Ma non è detto che sia così semplice. Perché le piattaforme spesso si comportano in modo opaco e non è da escludere che manipolino i prezzi o lascino gambe all’aria i compratori. La maggior parte degli exchange, ad esempio, è centralizzato - continua -. Ciò vuol dire che le criptovalute acquistate vengono conservate in un portafoglio presso la piattaforma. Questo espone il compratore al rischio controparte qualora la piattaforma, come già successo più volte, chiuda all’improvviso i battenti o svuoti il portafoglio dell’utente».
«La differenza di prezzo espressa dalle varie piattaforme quindi può anche essere giustificata dal diverso livello di credibilità di un exchange rispetto ad un altro - conclude Scròfina -. In futuro scompariranno gli exchange centralizzati a vantaggio di quelli decentralizzati. Nel mondo tradizionale la manipolazione si combatte con la regolamentazione, in quello delle criptovalute con i miglioramenti tecnologici». In questo secondo caso il Bitcoin - che altro non è che una password dietro la quale si cela una stringa alfanumerica corrispondente al codice della criptovaluta - non resta nella piattaforma ma passa nelle mani digitali del compratore. Che però dovrà fare attenzione ad eventuali assalti sul proprio pc da parte degli hacker.
© Riproduzione riservata