Anche la Cina metterà un prezzo alle emissioni di anidride carbonica. Mentre gli Usa si defilano dagli Accordi sul clima, Pechino fa un nuovo passo avanti verso la creazione del primo mercato al mondo per lo scambio dei diritti sulla CO2. I dettagli dello schema – che partirà in ritardo e in chiave minore rispetto alle intenzioni iniziali – sono stati comunicati ieri dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme.
L’obbligo di contenere le emissioni, acquistando crediti sul mercato per compensare gli eccessi come accade nell’Unione europea, riguarderà 1.700 utilities, molte delle quali impiegano grandi quantità di carbone. La platea è inferiore a quella ipotizzata fino a un anno fa, quando il Governo cinese contava di coinvolgere circa 6mila imprese di diversi settori, ma gli scambi riguarderanno comunque oltre 3 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno: più del doppio rispetto al mercato Ets europeo, il primo a entrare in funzione nel 2005 e oggi il più grande, con 1,4 miliardi di tonnellate scambiate per circa 14 miliardi di euro.
Le autorità cinesi non hanno reso nota la data di avvio delle contrattazioni ed è probabile che lo schema non riesca effettivamente a partire prima del 2019-2020.
Non è stato facile organizzare la raccolta dei dati sulle emissioni e ancora più difficile sarà monitorare gli obblighi. Pechino tuttavia si sta muovendo con decisione nella lotta all’inquinamento e si è posta l’obiettivo di aumentare la quota di rinnovabili nel mix energetico dal 13% nel 2016 al 20% nel 2020.
Nell'ambito degli Accordi di Parigi l’impegno è fermare le emissioni di CO2 ai livelli del 2030.
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