«Cosa accadrebbe se i mercati finanziari fossero guidati dalle sole macchine?». Qualcuno se l’è chiesto anche il 25 dicembre, quando l’euro ha perso in pochi minuti il 2%. Certo, rispondere a simili interrogativi, sempre più frequenti in un mondo in cui il ruolo giocato da algoritmi e trading ad alta frequenza cresce ogni giorno di più, è probabilmente impossibile. E forse anche ozioso, visto che a sorvegliare il funzionamento di certi meccanismi ci sarà sempre un essere umano. Se però ci si volesse interrogare sulle possibili conseguenze nel caso l’inevitabile automazione degli scambi sfugga di mano al controllo dell’uomo, magari distratto, allora ciò che è avvenuto due giorni fa all’euro, mentre la maggior parte dei trader era affaccendata nei festeggiamenti natalizi, vale la pena di essere raccontato e analizzato.
Il 25 dicembre, più o meno attorno all’ora di pranzo per chi stava in Europa (la mattina presto a New York), i terminali Bloomberg hanno iniziato a registrare un movimento piuttosto insolito: l’euro, che trattava sonnacchioso su un livello poco inferiore a 1,19 dollari, ha cominciato ad avvitarsi al ribasso per perdere in meno di un’ora oltre il 2% del proprio valore: un’enormità quando ci si riferisce a un mercato, quale quello valutario, che è molto differente da quello dei Bitcoin, dove l’ammontare in gioco è enorme (ogni giorno vengono scambiati in media oltre 5mila miliardi di dollari) e dove di solito gli spostamenti si misurano in centesimi, se non addirittura in millesimi.
Il fatto che in quella voragine la valuta comune sia rimasta praticamente senza alcun motivo fondamentale per poco più di 5 ore prima di riportarsi indietro fino al punto di partenza, come se nulla fosse e senza altrettanto valide ragioni, non deve trarre in inganno, né portare a sottovalutare quanto accaduto. In quel lasso di tempo relativamente ristretto, mentre la maggior parte dei professionisti era impegnata a scambiarsi i doni, a gustare o digerire il pranzo di Natale, qualcuno fra i meno disattenti e i più abili avrà sicuramente avuto modo di portare a casa un bel regalo, e in modo più o meno inatteso.
Cosa abbia dato il via al classico flash crash è d’altra parte difficile da stabilire e le ipotesi sul tavolo sono quelle di sempre: l’errore di un operatore piuttosto distratto (il cosiddetto fat finger, ovvero il dito grassoccio che sbaglia a digitare sulla tastiera del Pc, sul tablet o sul cellulare) per chi preferisce una spiegazione più «buonista» e umana oppure l’attacco con finalità speculative secondo chi propende per le teorie complottiste oppure ama mettere a nudo le distorsioni dei mercati finanziari.
Quale sia la verità ha però forse poca importanza, perché è lo schema attraverso cui questi episodi si ripetono che deve far riflettere: quel moltiplicarsi vorticoso delle transazioni a causa dell’utilizzo di meccanismi automatici in un giorno in cui gli scambi sono rarefatti e i big della finanza un po’ distratti che finisce per creare un cocktail a suo modo esplosivo. Chi è impegnato a regolamentare i mercati con interventi ormai sempre più frequenti di certo non sta a guardare. La stessa Mifid II che entrerà in vigore il prossimo 3 gennaio chiede una maggiore trasparenza alle società che utilizzano il trading ad alta frequenza, ma l’impressione è che il progresso tecnologico sia impossibile da imbrigliare. E con questo anche le sue conseguenze sui mercati, desiderate o meno.
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