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La ripresa zoppa delle commodities: nel 2017 corrono solo petrolio e…

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La ripresa zoppa delle commodities: nel 2017 corrono solo petrolio e metalli

Non è solo il petrolio a chiudere il 2017 in volata. Se Brent e il Wti si sono appena spinti ai massimi dal 2015 – il primo oltre 67 dollari, il secondo sopra 60 dollari al barile – i metalli industriali non sono da meno.

Quasi tutti hanno raggiunto record di prezzo pluriennali negli ultimi mesi, con rame e alluminio che hanno alzato proprio ieri l’asticella: il primo ha toccato quota 7.241 $/tonnellata per la prima volta da gennaio 2014, il secondo è arrivato a 2.254 $, record dal 2012.

Tra i preziosi il palladio è ai massimi da ben 17 anni. E persino l’oro – esposto ai venti contrari della stretta monetaria Usa – si avvia a concludere il 2017 con rialzi a due cifre percentuali.

Per alcuni versi è stato un anno brillante per le materie prime. Anche sul fronte degli investimenti ci sono segnali favorevoli. A fine novembre c’erano 445 miliardi di dollari in gestione nel settore, stima Citigroup, il massimo da oltre 4 anni e un quinto in più rispetto a novembre 2016: una crescita legata non solo ai rialzi di prezzo, ma anche al ritorno di denaro fresco su una delle asset class più bistrattate negli ultimi anni.

Crisi superata, dunque? In realtà per le materie prime l’orizzonte non si è ancora schiarito del tutto.

In questo ultimo scorcio di 2017 i fondi di investimento sembrano aver capovolto le aspettative, diventando fortemente ribassisti: sui mercati Usa le posizioni corte (in vendita) sono aumentate a ritmi che non si vedevano dal 2006 nella settimana al 12 dicembre.

La retromarcia, che ha risparmiato solo il Brent e poche altre commodities, potrebbe essere legata alla chiusura di diversi grandi hedge funds del settore. Ma questo non è l’unico campanello di allarme.

In realtà i mercati delle materie prime hanno vissuto un anno a due facce, riservando soddisfazioni solo a chi ha saputo scommettere sui cavalli giusti: in pratica petrolio e metalli, perché i prezzi dei prodotti agricoli sono invece affondati.

Chi è tornato a investire nell’intero comparto – convinto del ritorno di un ciclo espansivo dopo anni di crisi – è stato deluso: salvo sorprese il Bloomberg Commodity Index (Bcom), che nel 2016 era tornato in positivo dopo 5 anni di perdite, chiuderà l’anno poco variato, se non addirittura in ribasso, un risultato che brucia in modo particolare, perché qualsiasi altra asset class ha fatto guadagnare denaro.

L’S&P Gsci, altro indice molto affermato, è in rialzo di circa il 10% in termini di total return, ma solo perché nel paniere sottostante il petrolio ha un forte peso.

A far correre le quotazioni del barile è stata soprattutto l’Opec, che con la Russia e agli altri Paesi alleati ha tagliato la produzione con una disciplina mai vista, impegnandosi a proseguire anche nel 2018. Ma sul futuro restano molte incognite, a cominciare dalla reazione dello shale oil.

Nel caso dei metalli la Cina è tornata in primo piano con un ruolo in parte inedito: le misure anti-smog non solo hanno fatto correre le importazioni, ma hanno temperato gli eccessi produttivi del Paese, frenando acciaierie, miniere e fonderie.

Anche l’«effetto Tesla» ha fatto la sua parte: il sogno dell’auto elettrica non solo ha infiammato i prezzi di metalli minori (come il litio, rincarato di oltre un terzo, e il cobalto, più che raddoppiato nel 2017), ma ha contribuito al rally di metalli più “tradizionali”, dal nickel, impiegato nelle batterie, a rame e alluminio, impiegati in grandi quantità nei veicoli elettrici e in quelli a maggiore efficienza energetica.

Altri fattori nel frattempo hanno depresso le quotazioni dei prodotti agricoli e in particolare quelle dei cereali, schiacciate da anni di raccolti record, che hanno fatto accumulare scorte imponenti: il sottoindice di settore è ai minimi da 9 anni.

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