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Il piano Telecom appeso alla pace Vivendi-Mediaset

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Il piano Telecom appeso alla pace Vivendi-Mediaset

(Reuters)
(Reuters)

La Telecom a gestione francese porta nel nuovo anno tutti i nodi irrisolti del vecchio, su un canovaccio che incrocia il ruolo del suo azionista Vivendi e il contenzioso, ancora da risolvere, con Mediaset.

I contenuti e Mediaset

Tim ha portato avanti la negoziazione con Mediaset per acquistare contenuti su base pluriennale da trasmettere sulla piattaforma di Tim vision. La cifra è lievitata fino a 460 milioni, spalmati su sei anni, senza ancora comprendere il calcio che potrebbe aggiungere al piatto un altro centinaio di milioni. L'accordo però non è ancora stato firmato perché i legali che assistono il Biscione suggeriscono prudenza e Mediaset vuole prima chiudere con Vivendi il contenzioso su Premium, per non rischiare di finire in un altro ginepraio.

Non basta a scongiurare i rischi l'escamotage che a comprare i contenuti sia la stessa Telecom e non la joint-venture con Vivendi ai quali sono destinati, lasciando comunque l'impressione di voler scaricare su Telecom i costi dell'accordo extragiudiziale che si sta cercando di raggiungere. Curiosamente, non è filtrato nulla su quale possa essere il contributo di Vivendi a risolvere il contenzioso che la riguarda, se non che la parola “risarcimento” è bandita dal vocabolario francese. Sarebbe stato più lineare se a trattare con Mediaset l'acquisto di contenuti da trasferire alla joint venture fosse stata la stessa Vivendi.

I tempi però sembrano orami maturi. Il clima tra i contendenti pare migliorato e nonostante l’udienza in Tribunale sia stata spostata a fine febbraio, non si escludono novità già per fine mese. Però la situazione resta complicata perché in campo ci sono anche gli arbitri: l’Agcom, che deve vagliare qualsiasi forma di accordo, e persino l’Antitrust. E, non ultima, c’è la Consob che, dopo la segnalazione del collegio sindacale di Telecom su presunte irregolarità nella gestazione della joint per i contenuti tra Tim e Canal Plus, ha avviato una contestazione formale che dovrà concludersi nel giro di sei mesi e che prevede una multa fino a 10 milioni. I sindaci, da parte loro, secondo alcune interpretazioni legali, sarebbero tenuti a questo punto a impugnare davanti a un Tribunale le delibere del consiglio di amministrazione che hanno approvato (a maggioranza) la joint venture, classificandola come operazione con parti correlate di minore rilevanza e non invece di maggiore rilevanza, cosa che dovrebbe passare da una differente procedura con il voto vincolante della maggioranza dei dieci consiglieri indipendenti.

Il conflitto tra organi sociali

Il conflitto tra il collegio sindacale e il consiglio e, all'interno del board Telecom, tra amministratori di maggioranza (espressi da Vivendi) e amministratori di minoranza (espressi dai fondi) è esploso sul braccio di ferro relativo alla joint venture Tim-Canal Plus. Ma aveva avuto un preludio nella ditriba sul controllo di fatto che sindaci e Consob attribuiscono a Vivendi e che potrebbe sfociare nell'obbligo di consolidamento del gruppo di tlc, con relativo debito, nei conti della media company transalpina: a decidere sarà l'Amf (la Consob francese) entro la pubblicazione del bilancio. Mentre ancora un altro focolaio di latente conflitto riguarda la questione della consulenza sugli acquisti affidata al potente braccio destro di Vincent Bolloré, Michel Sibony. Anche qui lo schermo di una società – MSib – non pare sufficiente a salvare nemmeno la forma. La “consulenza” non è passata dalla procedura parti correlate, nonostante le indicazioni di Sibony – a stare alle indiscrezioni – abbiano il peso della “voce del padrone”.

La rete

Nel messaggio di Natale, l'ad di Telecom, Amos Genish, avrebbe riaffermato la strategicità della rete per il gruppo. Concetto ribadito anche ai sindacati preoccupati dalle ipotesi di scorporo che potrebbero mettere a repentaglio decine di migliaia di posti di lavoro. Le “aperture” fatte al ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, che il manager israeliano ha incontrato tre volte, non hanno prodotto passi concreti se non il tentativo di aprire un tavolo informale con le Autorità – Agcom e Antitrust – le quali comunque non potranno mai imporre la cessione dell'infrastruttura, ma nemmeno l'Ipo. L'Agcom, di suo, ha in corso un'analisi di mercato che dovrebbe concludersi entro giugno e che, all'estremo, potrebbe spingersi fino a sollecitare la societarizzazione della rete, ma non oltre.

Il golden power

Entro il 16 gennaio Telecom dovrà presentare un piano per spiegare come intende adempiere agli obblighi imposti dal decreto golden power. Nell'ottica aziendale il perimetro da sottoporre al regime di “vigilanza speciale” è limitato, ma bisognerà vedere cosa ne penserà Palazzo Chigi e il funzionario del Dis che dovrà sovrintendere agli asset strategici, Sparkle, Telsy e la stessa rete.

Il piano

Il tutto, nelle intenzioni, dovrà trovare una sintesi nel piano che Genish presenterà al consiglio il 6 marzo. Se la parola d'ordine è convergenza, far quadrare i conti non sarà comunque impresa semplice. Alla joint con Canal Plus, secondo gli accordi, Telecom dovrà garantire ricavi (un centinaio di milioni nel 2019) fino a quando non sarà superata la soglia dei 5 milioni di abbonati. È un'asticella parecchio alta da saltare, se si considera che Sky, la cui posizione è ormai consolidata in Italia, di abbonati ne conta “appena” 4,8 milioni.

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