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Meno acciaio in Cina ma il minerale di ferro si apprezza ancora

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Meno acciaio in Cina ma il minerale di ferro si apprezza ancora

(Ansa)
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La Cina produce meno acciaio, ma domanda (e prezzi) del minerale di ferro per il momento continuano a correre: la materia prima ha superato 78 dollari per tonnellata sul mercato spot, il massimo da 4 mesi.

Il paradosso non potrà durare secondo il Governo australiano. che prevede una brusca inversione di rotta a partire dalla seconda metà dell’anno: messo sotto pressione anche dall’aumento dell’offerta, oltre che da una retromarcia della siderurgia cinese, il prezzo medio crollerà a 52,60 $ nel 2018 e 49 $ nel 2019, avverte Canberra.

La volatilità è stata estrema anche nel 2017, con oscillazioni tra 50 e 95 $/tonn, ma la media è stata di 71,36 $. Ieri il prezzo benchmark rilevato dal Metal Bulletin, riferito al minerale al 62% per consegna spot a Qingdao, si è spinto fino a 78,47 $, il massimo da 4 mesi.

A influire sui rialzi nelle ultime ore è intervenuta anche un’allerta meteo per un ciclone che dovrebbe colpire il Western Australia, dove hanno sede importanti miniere e terminal marittimi, come Port Headland, da cui partono le navi di Bhp Billiton, Fortescue Metals e Roy Hill. Il porto, secondo dati diffusi ieri, nel 2017 ha battuto ogni record con 497 milioni di tonnellate di “iron ore” esportate, il 3,8% in più rispetto all’anno prima.

È proprio la soprendente tenuta della domanda il motore principale del rally: il minerale di ferro si è apprezzato di oltre il 30% da inizio novembre, quando era sceso sotto la soglia dei 60 $, ed è quasi raddoppiato dai minimi di dicembre 2015, nonostante Pechino – dopo anni di annunci a vuoto – oggi stia davvero mettendo un freno al settore dell’acciaio.

I tagli di produzione imposti dal piano anti-smog invernale si concluderanno in marzo, ma il Governo cinese ha messo in atto controlli severi per contrastare l’illegalità, che hanno portato alla chiusura definitiva di numerosi impianti. Inoltre sta approntando anche altre misure, mirate a una riduzione strutturale della capacità.

L’ultima, di appena due giorni fa, è un decreto con cui il ministero dell’Industria stabilisce limiti rigidi alla costruzione di nuove acciaierie: nelle aree classificate come «ecologicamente sensibili» (che comprendono anche le province Hebei e Jiangsu, cuore della siderurgia cinese) d’ora in poi si potrà attivare al massimo una tonnellata di nuova capacità produttiva ogni 1,25 tonnellate eliminate. Qualsiasi espansione sarà preclusa alle società che hanno dovuto chiudere impianti illegali o che hanno ricevuto aiuti di stato per ridurre la capacità.

Il provvedimento ha rafforzato la convinzione che Pechino non intende arretrare nel doppio impegno di aumentare l’efficienza e moderare l’impatto ambientale delle sue imprese siderurgiche.

Le quotazioni dell’acciaio in Cina, che nei giorni scorsi si erano indebolite, sono tornate a correre e il minerale di ferro ha fatto lo stesso, con ripercussioni anche sul mercato spot, quanto meno per le qualità più pregiate, che Pechino – anche in seguito alla chiusura di molte delle sue miniere – per ora continua a importare in quantità.

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