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L’economista Rajan: «Globalizzazione inclusiva unica via per la…

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intervista

L’economista Rajan: «Globalizzazione inclusiva unica via per la prosperità»

Davos - «Non c’è una scelta possibile tra la globalizzazione e il suo contrario: se vogliamo un mondo più prospero bisogna insistere sulla globalizzazione, facendo partecipare tutti ai suoi benefici». L’ex governatore della Banca centrale indiana (Rbi) ed ex capo economista dell’Fmi, Raghuram Rajan, è a Davos nella sua nuova vecchia veste di professore della Booth School of Business dell’Università di Chicago, dove aveva iniziato la sua carriera accademica. Nel frattempo, è stato uno dei pochi a prevedere già nel 2005 la grande crisi finanziaria, e quando ha assunto la guida della Rbi, in un solo mandato ha domato la crisi valutaria del Paese e la sua iperinflazione. Il magazine di finanza Barron’s lo aveva proposto come successore di Janet Yellen alla guida della Fed.

Quanto bisogna essere preoccupati dalla ripresa del protezionismo, anche alla luce delle ultime mosse degli Stati Uniti, e del populismo?

Protezionismo e populismo sono in un certo senso un grido contro le élite e le politiche economiche che nel dopoguerra hanno generato tanta prosperità, ma che ora vengono accusate di essere corrotte, le prime, e di non funzionare più, le seconde. Di qui la richiesta di una nuova leadership che risponda più direttamente alla gente. È un grido più che legittimo, ma va affrontato risolvendo i problemi che lo generano, non ripudiando il sistema.

Rendere la globalizzazione più inclusiva è appunto uno dei temi di Davos. Ma come si fa?

Non c’è una soluzione semplice. Molti direbbero con l’istruzione, la riqualificazione, ma non è facile per un 55enne che è stato nella siderurgia per molto tempo adeguarsi alla nuova realtà. Quello che è assolutamente necessario è non perdere la prossima generazione. Non possiamo concentrarci solo su chi perde il lavoro, ma dobbiamo pensare anche ai giovani che ancora non lo hanno.

Cosa pensa allora del reddito minimo di cittadinanza?

Anche se suona attraente, comporta alcuni problemi. Il primo è l’enorme costo. Un altro problema è che se puoi guadagnare decentemente senza dover lavorare, diventa molto più complicato trovare persone disposte a fare lavori difficili senza pagarle molto di più. Ci sono altre strade, è troppo facile dire che questo è il futuro. Per esempio, si potrebbe ricorrere a forme di occupazione alternative per persone non qualificate: sarebbe uno stipendio per fare qualcosa e non per non fare niente.

Proprio da Davos, l’Fmi ha parlato di una robusta ripresa dell’economia globale. Ma lo sarà abbastanza da sostenere la fine delle politiche monetarie espansive?

La verità è che non lo sappiamo. La buona notizia è che la crescita globale è forte, ma abbiamo avuto otto anni di politiche molto espansive e di enorme liquidità che hanno alimentato indebitamento e dipendenza dal finanziamento delle banche centrali. Se il cambio di politiche monetarie sarà graduale, i mercati sapranno adeguarsi. In caso contrario, più che la crescita mi preoccupa appunto la tenuta dei mercati finanziari. Comunque non c’è alternativa, le banche centrali non possono continuare a dare liquidità ancora a lungo, perché aggrava quelle fragilità.

Da governatore della Rbi, ha definito l’inflazione una tassa sulla povertà. Nelle economie avanzate c’è invece un tema di inflazione troppo bassa.

Credo che un’inflazione stabile sia più facile da gestire di una volatile, alta o bassa che sia. Quindi avere un po’ di inflazione ogni anno aiuta a risolvere certi problemi, compresa la necessità, quando c’è, di tagliare i salari. Il problema è che non sappiamo come far salire l’inflazione con la stessa facilità con cui sappiamo farla scendere. Una bassa inflazione può essere un problema, ma se è bassa e stabile, non è così grave. In effetti, dovremmo chiederci se dobbiamo sforzarci tanto per alzarla, soprattutto nei casi in cui il debito il pubblico è basso. Dobbiamo ripensare il mandato delle banche centrali.

Come valuta le politiche economiche di Trump?

La riforma fiscale di Trump ha benefici che non vanno sottovalutati, può spingere gli investimenti. Avrei però voluto vedere maggiore enfasi sulla promozione del capitale umano, che è il tema fondamentale nei Paesi industrializzati. D’altro canto, ci sono le perplessità sulla sostenibilità di lungo termine dei conti pubblici Usa. Credo sia necessario fare qualcosa al riguardo.

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