La parabola di Trump, lato dollaro, ha due volti. All’inizio del suo mandato (novembre 2016) il biglietto verde ha avuto subito uno scatto nei confronti delle principali valute. Tanto che l’euro da quota 1,12 è scivolato nel dicembre 2016 a 1,04 sfiorando la parità. Dopodiché il trend è girato. Il dollaro ha iniziato a perdere terreno su scala globale con un’escalation nelle ultime settimane. I fattori scatenanti sono la spinta protezionistica di Trump e l’innalzamento del tetto del debito.
Il presidente Usa ha delineato una strategia commerciale molto aggressiva, da molti considerata eccessivamente protezionistica, che prevede tra le altre cose l'imposizione di dazi su lavatrici e pannelli solari cinesi. Allo stesso tempo è riuscito a trovare la quadra al Congresso per aumentare la capacità di spesa a deficit.
Più debito equivale, nei manuali di macroeconomia, a una moneta meno forte. A conti fatti quindi se Trump voleva un dollaro più debole - che certamente può far comodo a un Paese chiamato a mantenere elevati e costanti standard di crescita a fronte del percorso di normalizzazione dei tassi avviato - ora può dire di averlo ottenuto. Su tutti e contro tutti.
Analizzando le performance del biglietto verde nei confronti delle 10 principali valute al mondo emerge chiaramente che la valuta Usa non ha fatto eccezioni: si è svalutata nei confronti di tutte. Nei confronti dell’euro ha perso oltre il 15%, così come per la corona danese. Il dollaro si è svalutato anche nei confronti della sterlina (13,9%) che a questo punto non è lontana (manca un 4%) a ritornare ai livelli pre-Brexit. Ci vogliono oggi più dollari anche per acquistare yen e franchi svizzeri (circa il 5% in più), rispetto a novembre 2016.
Ieri il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Steven Mnuchin, ha affermato che un dollaro così debole è un toccasana per l'economia. Parole che hanno messo nuova pressione al ribasso nei confronti della divisa statunitense.
Intanto la situazione - guerra valutaria che fa rima con guerra commerciale - sta alimentando il dibattito in Svizzera, dove è in corso il forum di Davos. Jack Ma, fondatore del colosso cinese dell'e-commerce Alibaba, ha detto che gli scambi commerciali non dovrebbero essere usati come un'arma, in quello che è apparso un attacco neppure troppo velato a Trump. Jack Ma, da Davos, ha detto di essere «spaventato e preoccupato» dalla possibilità di una guerra commerciale.
I suoi timori sembrano trovare fondamento nelle parole del segretario al Commercio americano Wilbur Ross, che, sempre da Davos, ha detto: «Ci sono state sempre trade war. Ora la differenza è che l'America sta salendo sulle barricate». Secondo Ma, invece, il protezionismo non è salutare: «La globalizzazione è una grande cosa» e gli «effetti collaterali» devono essere accettati, perché «è facile dare inizio a una guerra commerciale, ma è difficile fermarla».
Trump al momento al momento non la pensa così. Per continuare con il motto “America first” ora più che mai ha bisogno di un dollaro “fragile”.
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