È possibile ridurre i rischi di investimento acquistando più tipologie di titoli e azioni? A questa domanda risponde correttamente solo il 37% degli italiani contro il 75% della media Ocse. Altro quesito: un investimento con un rendimento elevato è probabilmente molto rischioso? La risposta corretta arriva dal 73% dei cittadini del nostro Paese contro una media Ocse dell’83%. Solo il 40%, inoltre, è in grado di fare un semplice calcolo relativo agli interessi accumulati su un conto bancario o è a conoscenza di quali siano gli effetti dell’inflazione. Gli esempi potrebbe continuare ma, purtroppo, il risultato non cambia: l’Italia si conferma ultima, tra le economie del G7, in termini di alfabetizzazione finanziaria. Una situazione desolante soprattutto se si considera che l’investimento delle famiglie in attività finanziarie è importante, pari a 4.200 miliardi. La ricchezza in Italia c’è, ma gli italiani non la sanno gestire. Dai dati Consob emerge che il 20% dei nostri concittadini afferma di non avere familiarità con alcun prodotto finanziario e oltre un terzo ha difficoltà a valutare la rischiosità delle opzioni di investimento più note. Inoltre, ancor più pericoloso, è l’atteggiamento degli italiani che continua a privilegiare l’investimento “fai da te”. Era il 2005 quando l’Ocse nelle sue raccomandazioni ricordava che la scuola rappresenta un canale privilegiato per veicolare l’educazione finanziaria. Sono passati 13 anni da quella raccomandazione e l’Italia, nonostante siano stati anni di profonda crisi per banche, mercati e risparmiatori, ha fatto ben poco. Dopo un lungo periodo abbastanza silente, ora qualcosa è cambiato.
L’educazione finanziaria ha compiuto il primo passo nel tessuto legislativo italiano all’interno del decreto Salva-Risparmio, sotto forma di emendamento, con uno stanziamento limitato a un milione di euro e l’istituzione di un apposito comitato, diretto da Annamaria Lusardi. Vi partecipano 10 membri, nominati da Mef, Miur, Mise, ministero del Lavoro, Bankitalia, Consob, Ivass, Covip, Ocf e Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti. Oggi l’offerta di alfabetizzazione in campo finanziario sta crescendo ma resta frammentata: sono stati censiti circa 256 soggetti che se ne occupano e circa 200 iniziative.
Siamo ancora di fronte a iniziative sperimentali o legate a singoli soggetti. Manca una volontà forte di rendere questo tema, centrale nell’educazione di tutti. «Oggi – come sottolinea Magda Bianco, capo del Servizio tutela dei clienti e anti-riciclaggio di Banca d’Italia - bisogna agire su due fronti, il pubblico adulto di oggi e quello di domani. I cambiamenti in atto (sul fronte della tecnologia, dei mercati e dei prodotti, della normativa) rendono essenziale da un lato rafforzare le tutele per i clienti ma dall’altro accrescerne consapevolezza e competenze di base in campo finanziario».
Al pari della matematica, o delle lingue straniere, l’educazione finanziaria dovrebbe in maniera strutturale far parte di percorsi formativi scolastici. Chissà se il prossimo Governo, di qualsiasi colore sarà, avrà il coraggio di aggiungere, accanto (si spera) a qualche ora in più di inglese, l’ora di educazione finanziaria. Il nostro, oltre a essere un auspicio, è anche un appello di buon senso, nella speranza che non rimanga solo uno slogan da campagna elettorale. Anche perché, tra l’altro, gli studenti italiani masticano poco i temi finanziari ma sono buoni risparmiatori. Il 43% di loro risparmia ogni settimana od ogni mese, il 21% risparmia solo quando dispone di denaro, il 27% solo quando desidera comprare qualcosa e solo il 5% non risparmia per nulla. Un altro buon motivo per non sprecare una “dote” tutta italiana.
© Riproduzione riservata