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Timori sui software dei consulenti robot in caso di shock

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Timori sui software dei consulenti robot in caso di shock

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

Il robo-advisor. Un fenomeno poco conosciuto in Italia. Eppure, a livello globale, già abbastanza diffuso. Secondo Statista, nel 2018, le masse gestite dalla consulenza automatica dovrebbero stimarsi in 373,9 miliardi di dollari.
In futuro? Nel 2022 potrebbero arrivare a 1.355 miliardi. Di là dalle previsioni, tuttavia, gli esperti si interrogano sulla tecnologia. La stessa Esma, dapprima, ha sottolineato i vantaggi del robo-advisor: dalla riduzione dei costi alla facilità d’accesso sui più prodotti fino alla migliore qualità dei servizi stessi.

La «black box»

Ciò detto, però, sempre l’Esma ha posto sul tavolo diverse problematiche. In primis il rischio per l’utente di non comprendere i meccanismi sottostanti all’ ”advisory”. È il fenomeno della cosiddetta «black box». Il Robo-advisor, in Internet, appare di facile uso e comprensione. Il che è positivo. La questione, tuttavia, è che il risparmiatore nulla conosce dei modelli matematici usati nell’asset allocation. Così il cliente pensa di gestire una situazione che, in realtà, non comprende. Certo: non è importante conoscere a fondo i meccanismi di come si ottiene il risultato. Essenziale, ad esempio, è controllare che il metodo sia coerente con il profilo dell’utente e gli obiettivi fissati. Inoltre lo stesso consulente umano, spesso, utilizza sistemi che non sono spiegati al cliente. Vero! E però, in questi casi, il risparmiatore ha l’opportunità di interloquire con l’esperto stesso. E se del caso chiedere spiegazioni.

Mifìd2 ed errori di sistema

A ben vedere la Mifid2 ha comunque introdotto una stretta rispetto alla profilazione dell’utente (da parte dell’operatore) sia sulla tolleranza al rischio che sulla capacità di sostenere le perdite. Una mossa che, in generale, dovrebbe agevolare il risparmiatore nella comprensione della strategia.

Sennonché alcuni esperti rilevano un rischio. Nel momento in cui lo scenario di mercato diventa problematico l’adeguamento automatico può amplificare, più di quello “umano”, l’eventuale flusso in vendita. «In realtà -spiega Enrico Malverti, manager research di Cyber Trade- non è un problema di norme. Piuttosto di velocità nella trasmissione della consulenza. Più persone ricevono “hic et nunc” il segnale è maggiore può essere l’effetto amplificativo”. Seppure « limitato al breve periodo». Quel breve periodo che non rileva, invece, sul rischio del difetto nel sistema tecnologico. Una carenza nell’algoritmo dovuta al fatto che le ipotesi di base sono limitate; oppure perchè c’è un errore nella programmazione. Qui gli operatori ribattono in diversi modi.Alcuni ricordano che, prima di essere utilizzati nelle Borse reali, i sistemi sono testati in mercati virtuali. Inoltre c’è sempre la presenza di esperti che monitorano il comportamento dell’algoritmo. Infine, sono previsti meccanismi di compliance e audit interni.

“Security” e sistemi passivi

Altro tema rilevante, poi, è la sicurezza. Da una parte la digitalizzazione domina la finanza. Dall’altra, però, i troppi casi di violazione di sistemi informatici mostrano che la piena “security” è impossibile. Gli stessi operatori riconoscono il tema tra i maggiori problemi. Tanto che, nel 2017, la spesa globale (non solo in finanza) per difendersi da cyber attacchi dovrebbe arrivare a 90 miliardi di dollari.

Ma non è solo la sicurezza. I modelli matematici, e più in generale l’approccio quantitativo, sfruttano a piene mani gli strumenti «passivi». Ad esempio: gli Etf. Questa situazione può creare dei rischi sistemici. Gli Etf, infatti, replicano interi indici o panieri di azioni. Quando decidono di uscire da un mercato non fanno selezione tra i titoli. Vendono tutto, indiscriminatamente. È ovvio che, nel momento in cui i stistemi automatici (compresi i robo-advisor) aumentano d’importanza, il rischio di un “sell-off” globalizzato aumenta.

Ciò detto non manca, però, chi invita ad un’analisi meno superficiale. «I supposti rischi sui robo-advisor - dice Giovanni Daprà, ceo di Moneyfarm - sono da ricondursi a tecnologie completamente automatizzate». In realtà, «come facciamo noi, sia nell’asset allocation sia nel rapporto con il cliente, c’è spesso l’interazione umana. Il che sfuma di molto le problematiche».

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