Crollo del mercato obbligazionario e impennata dell’inflazione. Questi, secondo il 36% dei grandi gestori che hanno partecipato all’ultimo sondaggio di BofA Merrill Lynch, sono i maggiori fattori di rischio che i mercati si troveranno ad affrontare nei prossimi mesi. Per anni economisti e banchieri centrali ci hanno ripetuto come un mantra che la minaccia per l’economia era la deflazione (prezzi in calo). Perché quindi il ritorno dell’inflazione è visto come una minaccia? La risalita dei prezzi è di per sé è un fatto positivo. Soprattutto se si tratta di “inflazione buona”. Cioè innescata dalla crescita dei salari, segnale che l’economia è in salute e che il potere d’acquisto dei lavoratori è in crescita. No, non è l’inflazione di per sé che spaventa ma il fatto che possa risalire più rapidamente del previsto che è fonte di preoccupazione.
Gli investitori hanno messo in conto che la “normalizzazione” delle politiche monetarie delle banche centrali, cioè la riduzione degli stimoli monetari (Qe) e il rialzo del costo del denaro, debba avvenire in maniera graduale. Perché graduale è prevista che sia la ripresa dell’economia. Ma che cosa succede se qualcosa turba questo equilibrio? È questa incertezza che ha alimentato il nervosismo sui mercati venerdì quando sono usciti i dati sul mercato del lavoro che hanno evidenziato un balzo del 2,9% dei salari. Il dato è stato una sorpresa perché per anni ciò che è mancato all’economia americana è stata proprio l’inflazione salariale. La brusca reazione di venerdì è il segnale che il mercato ha intuito che il vento sta cambiando. La domanda ora è: che farà la Fed? Quale sarà la strategia del nuovo presidente Jerome Powell che oggi ufficialmente subentra a Janet Yellen? C’è il rischio di una stretta sul costo del denaro più rapida del previsto qualora la riforma fiscale Usa dovesse surriscaldare l’economia e far ripartire l’inflazione? Il mercato inizia a scommetterci a giudicare dal nervosismo che si è visto sul mercato obbligazionario nell’ultimo mese. I Treasury americani sono un punto di riferimento per il mercato globale dei bond e se i tassi salgono negli Usa tutto il mondo segue a ruota. Un trend che può essere pericoloso. In primo luogo perché potenzialmente mina la sostenibilità del debito che Stati e imprese hanno contratto in tutto il mondo favoriti dalla politica dei tassi zero. Un fardello che, stando a una recente stima di IIF, ha raggiunto la cifra record di 230mila miliardi di dollari. In secondo luogo perché, se i tassi del mercato obbligazionario dovessero tornare a diventare attraenti, gli investitori sovraesposti sull’equity (vedi articolo a fianco) potrebbero decidere di tornare al reddito fisso provocando una correzione. C’è qualcosa che può impedire il concretizzarsi di questo scenario: la crescita economica. Non bisogna scordarsi infatti che l’economia globale sta attraversando la miglior fase di espansione da 10 anni a questa parte. In questo contesto è assai probabile che Stati e imprese possano permettersi di rifinanziarsi a costi più alti senza che la sostenibilità del loro debito sia messa in discussione. Se l’economia e i consumi corrono poi le aziende fanno più utili. E questo favorisce la crescita dei mercati azionari. Dal bilanciamento di questi due fattori - stretta monetaria e crescita economica - dipende ora il destino dei mercati.
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