Non c’è tregua per le Borse. Nell’ultima seduta di una settimana ad altissima volatilità sono state ancora una volta le vendite a prevalere. A partire dall’Asia, con Tokyo che ha perso il 2,32% e Shanghai oltre il 4%, per proseguire in Europa dove gli indici, dopo un iniziale tentativo di rimbalzo, hanno chiuso in netto ribasso con Milano in calo dell’1,33%, Parigi dell’1,41%, Francoforte dell’1,25%, Londra dell’1,09 per cento. Ad eccezione di Milano tutti i principali indici hanno azzerato i guadagni da inizio anno e, accodandosi a Wall Street, hanno ufficialmente imboccato la strada della «correzione» registrando una flessione superiore al 10% rispetto ai massimi di fine gennaio. Il saldo della capitalizzazione bruciata dai listini globali dai picchi di fine gennaio ha superato i 7mila miliardi di dollari. Epicentro delle tensioni continua ad essere Wall Street che dopo il -4% di giovedì ha faticato a trovare in una seduta che ha visto gli indici cambiare più volte direzione al rialzo e al ribasso. Intanto il contagio ha colpito le obbligazioni societarie a basso rating, i bond dei Paesi emergenti e il petrolio, con Brent e Wti in calo di quasi il 4 per cento. Si tratta di classi di investimento che sono andate molto bene nell’ultimo anno e su cui gli investitori stanno prendendo profitto per contenere le perdite della parte azionaria.
Volatilità continua ad essere la parola chiave per inquadrare l’andamento dei mercati continua ad essere. Ieri il Vix ha rivisto quota 40 punti. Nei giorni scorsi è arrivato addirittura a toccare quota 50 sui massimi dal 2008. Il risveglio della volatilità (nell’ultimo anno il valore medio del Vix è stato 11 punti) è stato innescato una settimana fa dall’impennata dei tassi sul mercato obbligazionario. La pressione che fin da inizio anno aveva interessato i titoli di Stato Usa ha raggiunto il suo culmine venerdì 2 febbraio dopo il dato sulla crescita dei salari negli Usa che ha fatto salire le aspettative su una stretta sui tassi della Fed. In un contesto in cui il grosso degli investitori opera a leva (cioè indebitandosi) l’impennata violenta dei tassi a breve termine ha fatto scattare la chiusura di posizioni “lunghe” (cioè rialziste) sulla Borsa americana. La violenza del crollo che ne è seguito è stato poi con ogni probabilità amplificato da fattori tecnici. Uno su tutti la strategia piuttosto di moda negli ultimi tempi di andare “corti” sulla volatilità investendo su appositi ETF. Un castello di carte crollato nel giro di poche sedute con tanto di immediata chiusura degli ETF. Il risveglio dell’«indice della paura» come è soprannominato il Vix è stato un fulmine a ciel sereno. Solo qualche settimana fa il 55% dei gestori che aveva partecipato al sondaggio BofA Merrill Lynch aveva dichiarato di voler aumentare la propria esposizione sul mercato azionario. È stato questo mercato sovraesposto sulla componente azionaria ad essere colto in contropiede dalla risalita del Vix. Si spiega così l’ondata record di riscatti dai fondi azionari che nell’ultima settimana hanno registrato deflussi netti pari ad oltre 30 miliardi di dollari. Numeri che neanche nei peggiori momenti della crisi finanziaria si sono mai visti.
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