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Pir, la virtù e i due errori

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L'Editoriale|plus 24

Pir, la virtù e i due errori

I Piani Individuali di risparmio, per tutto il 2017, sono stati il mantra (e la fortuna) del risparmio gestito italiano e di quelle case di investimento che per prime hanno offerto questi prodotti finanziari ai risparmiatori. Il settore ha raccolto quasi 11 miliardi di euro, oltre le più rosee aspettative e i fondi di questa tipologia hanno registrato anche performance superiori al 30%. Un vero e proprio boom di domanda spronata da quello che da sempre è uno dei temi che sta più a cuore agli italiani: l’esenzione fiscale. Il Regolatore nel tentativo di spingere i risparmi verso l’economia reale e in particolare verso le Pmi ha ideato questo strumento che azzera il prelievo fiscale sul capital gain per chi mantiene l’investimento (massimo 30mila euro l’anno) per almeno 5 anni.

Dietro questa grande euforia si nascondono però due grosse criticità. La prima è legata alla questione dei costi: su questi prodotti super gettonati spesso le Sgr hanno caricato commissioni elevate che, in alcuni casi, rischiano di inficiare il beneficio fiscale per i risparmiatori.

L’inchiesta di Plus di questa settimana è volta proprio a capire se le Società di gestione del risparmio sono state capaci di rimediare a questo errore, riducendo i costi e rendendo più interessante l’investimento. Plus realizzerà un osservatorio periodico dei Pir con l’obiettivo di monitorare costantemente l’evoluzione del comparto, i costi e i nuovi prodotti.

L’altra importante distorsione è legata al problema della scarsità di Pmi quotate a Piazza Affari su cui i Pir investono. La forte domanda per questi titoli ha portato in pochi mesi al forte balzo delle quotazioni delle piccole e medie aziende presenti sul listino.

I rialzi sono stati spesso amplificati anche dallo scarso flottante di questo comparto: sul listino Aim, ad esempio, solo il 15% dei titoli ha un flottante superiore ai 100 milioni. Nel 2017 l’indice Aim di Piazza Affari ha guadagnato il 22,4% (+311,5% i volumi) contro il 13,6% del listino principale. Nel 2017 Piazza Affari ha registrato 32 Ipo, di cui 24 all’Aim. La raccolta complessiva è stata per tutte le Ipo di 5,4 miliardi mentre quella dell'Aim è stata di 1,2 miliardi. Seppur i Pir guardino a tutte le Pmi del listino il dato stona, soprattutto se confrontato con una raccolta di quasi 11 miliardi fatta con questo strumento.

Ora il regolatore, con la legge di Bilancio 2018, ha deciso di aprire il mercato dei Piani di risparmio anche al settore immobiliare, nel tentativo di risvegliare questo comparto dal suo lungo letargo. Lo sforzo, volto quindi a far riaprire il settore, va letto in maniera positiva ma lo strumento rischia di amplificare ulteriormente le distorsioni già viste lo scorso anno sul listino per effetto della scarsità di società immobiliari quotate.

«I Pir - sottolinea Francesca Cerminara di Zenit Sgr - indirizzeranno i flussi soprattutto sulle società quotate, le Siiq, dove il Nav è puntuale e verificabile, piuttosto che in imprese immobiliari non quotate dove il lavoro di due diligence sugli asset societari potrebbe non essere di facile realizzazione, lasciando nuovamente questo ruolo ai fondi immobiliari dedicati».

Se le Pmi di Piazza Affari sono poche, figuriamoci le Siiq. Sul listino ci sono solo cinque Società di investimento immobiliare quotate e complessivamente solo 12 titoli real estate. L’effetto scarsità porterebbe subito al forte rialzo dei prezzi delle quotazioni del real estate, allontanando i valori di Borsa dai fondamentali di bilancio. Un rischio troppo alto per gli investitori e per le stesse società. Servirebbero quindi, anche in questo caso, maggiori quotazioni. Mario Breglia presidente di Scenari Immobiliari, suggerisce, per aumentare gli attori, anche di spingere le Ipo di start up di servizi legate al settore immobiliare. Va ricordato che lo scorso autunno, quando si è iniziato a parlare della possibilità di estendere i Pir anche al real estate, in Borsa i titoli delle Siiq hanno segnato rialzi da capogiro: il controvalore medio degli scambi dalla seconda metà di ottobre è aumentato di oltre il 145% rispetto alla media del periodo antecedente calcolata da inizio 2017

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