La Cina ha allungato ancora il vantaggio nella corsa alle batterie per l’auto elettrica, assicurandosi da Glencore una fornitura triennale di cobalto di dimensioni colossali: 52.800 tonnellate, più di metà di quanto sia stato estratto l’anno scorso in tutte le miniere del mondo.
A sottoscrivere l’accordo, confermando le voci che si rincorrevano da qualche giorno, è stata Gem, società quotata a Shenzhen che è tra i primi fornitori di Contemporary Amperex Technology (Catl), gruppo cinese nato solo nel 2011, come spinoff della giapponese Atl, ma già cresciuto al punto da potersi vantare di essere il maggior produttore di batterie a ioni di litio del Pianeta: nel prospetto per la quotazione in Borsa – che avverrà a breve, con l’obiettivo di raccogliere 2 miliardi di dollari – Catl afferma di aver venduto accumulatori per 12 Gigawattora l’anno scorso, contro i 10 GWh di Panasonic, socia della Gigafactory di Tesla. Tra i suoi clienti annovera anche Volkswagen, una delle case automobilistiche occidentali più attive nella conversione all’elettrico.
Gem non è l’unica ad aver avvicinato Glencore. Mesi fa quest’ultima aveva rivelato contatti con Tesla, Apple e la stessa Volkswagen., ma i cinesi sono arrivati per primi al traguardo di un contratto, aggiudicandosi un terzo della produzione del gruppo svizzero: 13.800 tonnellate di cobalto quest’anno (circa il 12% della produzione globale attesa), che saliranno a 18mila nel 2019 e 21mila nel 2020. Il prezzo non è stato rivelato, ma Ivan Glasenberg, ceo di Glencore, aveva dichiarato in passato che non avrebbe mai accettato di cedere forniture a prezzi fissi.
Molti analisti prevedono che in futuro sarà sempre più difficile soddisfare la domanda di cobalto, metallo per cui gli scienziati non hanno ancora trovato un valido sostituto nelle batterie. Proprio il timore di carenze, sommato a fenomeni speculativi, ha fatto quasi triplicare il prezzo negli ultimi due anni, spingendolo oltre 80mila dollari per tonnellata.
La raffinazione di cobalto è per oltre il 70% in mani cinesi, stima il Cru Group. Ma il primato nelle estrazioni minerarie è di Glencore (sia pure tallonata da China Molybdenum), che controlla due grandi miniere nella Repubblica democratica del Congo e conta di espandere la produzione da 39mila tonnellate quest’anno a 65mila il prossimo. Anche i costi sono comunque destinati a salire, a meno che gli svizzeri non riescano a strappare un trattamento di favore.
Nel Paese africano è appena entrata in vigore una riforma del settore estrattivo che aumenta gli oneri fiscali a carico delle minerarie straniere. Le royalties sul cobalto in particolare dovrebbero salire dal 2 al 10%. Il primo ministro Bruno Tshibala ha infatti confermato al Financial Times che il metallo sarà incluso nella lista dei materiali strategici, per cui sono previste tasse più pesanti.
Kinshasa sta valutando se classificare nello stesso modo anche il rame, afferma un consulente del governo sentito dalla Reuters, mentre sarebbe ormai certa l’inclusione nella lista non solo del cobalto, ma anche di altri minerali utili per l’auto elettrica: il “coltan”, da cui si estraggono tantalite e niobio, e il litio (di cui però il Congo è per ora solo un aspirante fornitore).
Per protesta contro le nuove regole le maggiori minerarie straniere che operano nel Paese ieri hanno abbandonato la Federazione delle imprese del Congo, affermando che ha smesso di rappresentarle. Presidente dell’organismo è Albert Yuma, a capo della mineraria statale Gecamines, che punta anche a conquistare quote maggiori nei progetti minerari. Le società – che oltre a Glencore comprendono Randgold, AngloGold Ashanti, Ivanhoe, Zijin Mining, Mmg e China Molybdenum – hanno anche annunciato l’arrivo a Kinshasa di un team di legali.
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