Brutti tempi per il petrolio, se uno dei colossi del settore preferisce passare per una clinica veterinaria pur di nascondere quello che è – e resterà – il suo core business. Statoil non è la prima major che prova a rifarsi un’immagine cambiando il proprio nome: ricordate gli sforzi di Bp per spostare il significato dell’acronimo da British Petroleum a Beyond Petroleum? Ma la compagnia norvegese ha suscitato più risate che scetticismo annunciando che si ribattezzerà Equinor.
Sui social media le prese in giro non si contano, quasi tutte giocate su equini e dintorni (esiste davvero una clinica per cavalli di nome Equinor), ma talvolta anche con slanci di fantasia più arditi, come quello di una nota analista, che confessa di aver pensato a un nuovo farmaco contro la pressione alta.
Le intenzioni di Statoil erano ben diverse: «equi» doveva richiamare «parole come uguale, uguaglianza ed equilibrio» e «nor» il Paese d’origine. Il vecchio nome, argomenta il management, non riflette l’aspirazione ad essere società energetica a 360 gradi, attiva anche nelle fonti rinnovabili.
In effetti Statoil è diventata un protagonista rilevante nell’eolico offshore. Ma proprio mentre lanciava la campagna per far conoscere il suo nuovo nome la compagnia ha ribadito che l’estrazione di petrolio e gas in Norvegia resterà la sua «spina dorsale» e promesso che, almeno fino al 2030, i suoi investimenti si concentreranno per l’80-85% sugli idrocarburi. (S.Bel.)
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