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Dossier I big della Silicon Valley contro «Zuck»

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Dossier | N. (none) articoliFacebook e il datagate

I big della Silicon Valley contro «Zuck»

Le premesse c’erano tutte già nel 2014, quando il ceo di Apple, Tim Cook, scrisse una lettera aperta agli utenti. «Il nostro modello di business è vendere prodotti, non costruiamo un profilo basato sui vostri messaggi email o sulle vostre abitudini di navigazione online per vendere pubblicità». Quando un servizio online è gratis, «non sei un cliente, sei il prodotto». Il messaggio era difensivo, visto che arrivava dopo la pubblicazione di alcune foto private di attrici di Hollywood trafugate da iCloud, e inaugurava una nuova sezione del sito dedicata alla privacy. Contemporaneamente Cook andava all’attacco del modello di business di Google. Qualcosa di simile aveva fatto nel 2010 Steve Jobs, dicendo che «in molti in Silicon Valley pensano che sulla privacy siamo all’antica, forse hanno ragione».

Sulla base di queste premesse è comprensibile perché Tim Cook abbia attaccato Facebook sulla vicenda Cambridge Analytica. E perché la Silicon Valley invece che rispondere compatta alle interrogazioni di Washington, i cali di Wall Street e le preoccupazioni di mezzo mondo si sia divisa tra le posizioni critiche di aziende più orientate sull’hardware che sulla valorizzazione commerciale dei dati personali e il silenzio di Google e Twitter, anch’esse in attesa di essere sentite al Senato al pari di Zuckerberg.

«Credo che la miglior regolamentazione sia l’autoregolamentazione, ma qui siamo oltre» ha detto Cook a Msnbn, aggiungendo «non mi sarei mai trovato» nella situazione di Zuckerberg.

Il fondatore di Facebook è l'ultimo grande imprenditore del sogno digitale californiano. Da anni non si muove foglia oltre al monopolio Apple, Microsoft, Google, Amazon, Facebook. Si è comprato WhatsApp, Instagram e Oculus. Ha per adesso neutralizzato la minaccia di Snapchat facendo sue alcune delle funzioni più innovative. E cercato di prendere la leadership di tecnologia come la realtà virtuale e i bot, che per adesso però restano solo promesse. La vicenda Cambridge Analytica lo riporta con le ciabatte nella sue stanzetta di Harvard, dove nel 2003 inventò Facemash.

Non che Apple non abbia a che fare con i dati personali, anzi. Con iCloud fa miliardi di dollari sulla archiviazioni di foto e video. Però usa tecnologie di decriptazione che anonimizzano i file, lo stesso fa con impronte digitali, immagini del volto e così via. Il sistema operativo è considerato da diverse ricerche il più sicuro, ragione per cui spesso viene scelto dalle aziende. E la piattaforma pubblicitaria è irrilevante per il business. Nel 2016, Apple si era opposta alle richieste dell’Fbi di entrare nell’account iCloud di uno degli attentatori di San Bernardino, dove erano morte 14 persone, proprio per mandare un messaggio di alfiere della privacy. Le autorità riuscirono dopo settimane a bucare l’iPhone, probabilmente con l’aiuto di una società di sicurezza israeliana.

Anche Elon Musk ha subito preso le distanze da Zuckerberg, arrivando a eliminare le pagine delle sue aziende da Facebook. I due si erano già confrontati piuttosto duramente sull’intelligenza artificiale tra apocalittici (Musk) e integrati (Zuckerberg). Ginni Rometty, ceo di Ibm, non si è fatta sfuggire l’occasione durante un dibattito: «Se si usano questo genere di tecnologie bisogna dire alle persone cosa si sta facendo in modo da non sorprenderli». Dobbiamo dire agli utenti, ha aggiunto, che “se adottano l''opt out' (cioè abbandonano in servizio) i dati appartengono ai creatori del servizio». Satya Nadella, il ceo di Microsoft, non si è espresso, ma lo ha fatto la responsabile globale del business development, Peggy Johnson. In un’intervista a un giornale finanziario indiano ha sottolineato «La tecnologia può davvero aiutare nella risoluzione di questo problema. Cose come la blockchain possono essere parte della soluzione, perché sono trasparenti, sono sicure... possono essere parte di una soluzione che è stata sollevata dai regolatori». Soluzioni a cui Microsoft lavora con la sua piattaforma cloud Azure, a conferma del fatto che il nuovo sistema di alleanze della Silicon Valley dipende soprattutto dal modello di business.

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