L’accordo fra Mediaset e Sky ha un doppio piano. Il piano industriale. E il piano del power game. Su entrambi, questo patto ha un positivo effetto di stabilizzazione. Sul piano industriale, ci sono la sinergia tecnologica fra i due gruppi e il miglioramento dell’offerta. Sul piano del power game, è sancita la pace fra due realtà industriali sulle quali – per quanto ultramanagerializzate e aperte al mercato e agli investitori – persistono ancora l’aura e l’impronta dei due fondatori, Silvio Berlusconi e Rupert Murdoch.
I due Tycoon hanno contribuito a creare, a partire dagli anni Ottanta, un mercato – quello della televisione privata – che prima semplicemente non esisteva e che, adesso, sta sperimentando una profonda e non indolore mutazione, per esempio provocata dal fenomeno Netflix.
La stabilizzazione industriale nasce dal passaggio dalla vecchia fase della pura competizione – dura, a tratti durissima, come sui diritti del calcio – fra Sky e Mediaset alla nuova fase della competizione-cooperazione. Sky andrà sul digitale terrestre anche con un’offerta a pagamento. Alcuni canali della piattaforma Premium andranno sul satellite, grazie a Sky.
L’ecosistema televisivo italiano ha trovato in questi giorni una sua più precisa articolazione. Sky ha stretto un accordo con Open Fiber per veicolare i suoi canali sulla fibra. Adesso, questa operazione congiunta fra Mediaset e Sky.
Mediaset inizia a definire meglio la sua riconfigurazione, dopo lo shock del conflitto con la Vivendi dell’investitore francese Vincent Bolloré, che prima doveva acquisire Premium e che poi vi ha rinunciato cercando di salire direttamente nell’azionariato di Mediaset, con tanto di strascichi giudiziari. Dal punto di vista industriale e tecnologico, si realizza lo scenario prospettato dall’amministratore delegatoPier Silvio Berlusconi. Uno scenario in cui Mediaset Premium si apre all’esterno – operativamente e filosoficamente – rinunciando alla dimensione della “scatola chiusa”.
La stabilizzazione del gruppo presieduto da Fedele Confalonieri non può non avere un effetto sistemico. Infatti, contribuisce a ridurre il grado di disordine e di conflitto – reale o latente, effettivo o potenziale – di un sistema italiano sottoposto a non pochi sconquassi negli ultimi tempi. Basti pensare alla battaglia in corso intorno a Tim, l’altro tassello fondamentale del mosaico delle comunicazioni nazionali che sta sperimentando la pressione dello scontro fra – di nuovo – la Vivendi di Bolloré e il fondo Elliott.
Nel power game, questa riconfigurazione ha un effetto di graduale riduzione del caos. Nell’ultimo quarto di secolo, Mediaset ha avuto inevitabilmente una esposizione alle vicende della politica italiana. Silvio Berlusconi ha cambiato, dopo la fine della Prima Repubblica, le regole del gioco. L’esposizione alla politica di Mediaset è stata rilevante. Nel bene e nel male. Questa componente – soprattutto in un Paese come l’Italia in cui la politica e l’economia hanno sempre avuto ambiti e perimetri dai confini sfumati e ambigui – è esistita.
Con il nuovo quadro politico, segnato dalla vittoria alle elezioni nazionali dei Cinque Stelle di Luigi Di Maio e dalla prevalenza nel centrodestra della Lega di Matteo Salvini sulla Forza Italia di Silvio Berlusconi, questa componente politica rischia di essere amplificata.
Per questa ragione, nel “gioco del potere” italiano, l’accordo fra i gruppi fondati da due dei Re Taumaturghi della televisione internazionale contribuisce a ridurre l’entropia nel nostro ecosistema e a conferire più coesione a Mediaset, permettendo ad essa di esprimere con maggiore tranquillità tutto il suo potenziale industriale.
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