Non sono solo i mutui a tasso variabile a essere direttamente interessati dalla riforma (e dal futuro addio) del tasso Libor, e del suo gemello europeo Euribor. Perchè ad essere coinvolta nel processo di revisione del benchmark di riferimento (e a portarsi dietro tutte le incognite del caso) è soprattutto la fetta di debito pubblico italiana indicizzata al tasso variabile. Una massa di titoli di Stato, quella dei CcT, che secondo le stime del Tesoro vale circa 137 miliardi di euro, quota che di fatto rappresenta la porzione di debito a tasso variabile più elevata a livello europeo. Per avere un termine di paragone, basti pensare che sono solo 15 i miliardi di titoli irlandesi indicizzati al tasso variabile, mentre quelli portoghesi si fermano a 7,2 miliardi.
Storicamente, il Tesoro italiano ha sempre diversificato le proprie emissioni, dando spazio anche a titoli a tasso variabile per arricchire un’offerta che, in larga parte, ha sempre poggiato sul tasso fisso, ovvero BTp. In questo senso i cosiddetti floaters, con il 7% dell’intero stock, rappresentano una quota non trascurabile dell’intero debito pubblico. Peraltro, nel tempo i CcT hanno visto cambiare il benchmark di riferimento da un parametro domestico - come erano i tassi dei BoT a sei mesi - a uno più europeo - come poteva essere l’Euribor- proprio per diventare di maggiore interesse per gli investitori esteri.
Insomma, vuoi per l’ammontare di mutui a tasso variabile in circolazione, vuoi per la componente di debito pubblico indicizzata all’Euribor, l’Italia è uno dei paesi in prima linea rispetto alla modifiche che la Bce e gli operatori riuniti nell’Emmi (European Money Market Institute) stanno studiando. E l’arrivo del nuovo indice di riferimento, che rimpiazzerà entro il 2021 l’Euribor (si veda articolo a fianco), è destinato insomma a cambiare le carte in tavola. Ma come? Le incertezze sul tema sono tante. Perchè al momento non è chiaro che cosa succederà quando l’Euribor andrà in pensione. Secondo alcune letture, alla scadenza della pubblicazione quotidiana dell’Euribor fissata nel 2020, i bond ad esso collegati potrebbero essere “agganciati” all’ultimo tasso disponibile, trasformandosi così a tasso fisso. Secondo altre visioni, invece, è possibile che i tassi siano indicizzati ad altri tassi, soprattutto nella fase transitoria. In molti guardano così all’Eonia, altro indice governato dall’Emmi e calcolato sulle operazioni overnight (a brevissima scadenza). Se così fosse, sorgerebbero altri dubbi. Perché non è chiaro ad esempio se l’effetto di passare all’Eonia possa calmierare il tasso, generando così un risparmio per il Tesoro (ma anche un futuro minor reddito per i detentori dei CcT) oppure renderlo più caro, con un inevitabile rincaro per le casse pubbliche. Secondo i calcoli dell’Ft, lo scorso anno l’Eonia è stato in media di 2,2 punti base più caro dell’Euribor a una settimana. Se però si guarda all’Euribor a 6 mesi, ai quali sono indicizzati i CcT, le cose cambiano: in questo caso, l’Eonia negli ultimi 12 mesi appare più basso di quasi 9 punti. Difficile insomma prevedere quale possa essere l’impatto della sostituzione del tasso Euribor, visto che al momento nessuno sa con certezza con quale altro riferimento verrà rimpiazzato, né con quale tempistica. Se le questioni aperte sono tante, insomma, le risposte sono ancora poche.
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