Le quotazioni del petrolio hanno ripreso a correre, guadagnando oltre il 5% nelle ultime due sedute e spingendosi al record da tre anni: il Brent ieri ha chiuso a 71,04 dollari al barile, salendo subito dopo la fine della seduta a 71,34 $, livello che non toccava da dicembre 2014. Il Wti ha invece chiuso a 65,51 $.
L’umore sui mercati finanziari è tornato positivo grazie al tono conciliatorio di un discorso del presidente cineseXi Jinping, che ha allontanato – almeno per ora – il timore di una guerra commerciale con gli Usa, con conseguente frenata dell’economia mondiale. Ma ad alimentare gli acquisti sul petrolio è anche un recente cambio di strategia da parte dell’Arabia Saudita, che ha provocato reazioni forti.
Saudi Aramco ha alzato a sorpresa i prezzi di listino del suo greggio per le consegne di maggio in Asia: una variazione del cosiddetto Official selling price (Osp) che è apparsa arbitraria o comunque non in linea con le metodologie di calcolo di solito impiegate dalla compagnia e alla quale il maggior raffinatore cinese, Sinopec, ha risposto con un altrettanto inatteso taglio del 40% degli ordini per lo stesso mese.
La decisione è stata comunicata a diverse agenzie da un anonimo funzionario di Unipec (il braccio di trading del gruppo statale), che ha commentato che si tratta di «prezzi irragionevoli», e senza dubbio ha influenzato il mercato.
Circolano peraltro voci di riduzione delle forniture saudite anche da parte di altri clienti asiatici.
Da Riad il ministero dell’Energia ha fatto sapere di voler continuare a contenere l’export sotto 7 milioni di barili al giorno, ma dietro le quinte si dice che i sauditi vogliano spingere il barile a 80 $ in vista dell’Ipo di Saudi Aramco.
© Riproduzione riservata