Andamento titoli
Vedi altroÈ in arrivo un carico di dividendi, il primo di un certo peso per gli azionisti di Piazza Affari in questo 2018. Il prossimo 23 aprile ben 11 società quotate in Borsa italiana staccheranno infatti cedole per consegnare ai propri soci poco più di due miliardi di euro. Si tratta di una sorta di «antipasto» rispetto a quanto poi sarà distribuito il mese prossimo e in particolare il 21 maggio, data in cui scenderanno in campo i tradizionali big quali Intesa Sanpaolo, Eni e Generali. Fra tutti, lunedì prossimo, spicca il (gradito) ritorno sulla scena di Unicredit dopo la pausa dello scorso anno: la banca distribuirà 32 centesimi per azione per complessivi 713 milioni di euro, giocando quindi la parte del leone in questa tornata.
Anche Luxottica, con i suoi 1,01 euro per azione e quasi 490 milioni complessivi sarà piuttosto generosa con gli azionisti mentre FinecoBank, De’ Longhi, Ferrari, Prysmian, Banca Mediolanum e Recordati (quest’ultime due versando il saldo dopo l’acconto dello scorso autunno) distribuiranno valori di poco inferiori o superiori ai 100 milioni.
Il surrogato del BTp e il rischio trappola
Nel complesso, il rendimento offerto rispetto al prezzo dell’azione spazierà dallo 0,70% di Ferrari al 5,68% di Mediolanum (considerando in questo caso anche il precedente acconto). Il tutto per un valore medio del 2,74% che sarà di sicuro apprezzato dai tanti risparmiatori italiani in passato «affezionati» a quelle cedole dei BTp che l’azione espansiva della Banca centrale europea ha costretto a una drastica cura dimagrante. Il dividendo però, come è noto, non è certo tutto e regolarmente si sono spesi fiumi di inchiostro per mettere in guardia gli investitori sulle possibili trappole innescate dai versamenti piuttosto generosi decisi dai manager, il cui afflusso nelle casse dei soci è stato poi spesso virtualmente vanificato dalla perdita di valore subita dal titolo in Borsa nel medio-lungo periodo.
Così come altrettanto importante è la capacità da parte delle società di mantenere il valore della cedola, o meglio ancora di accrescerlo nel corso del tempo. Sotto questo aspetto, se si esclude il caso specifico di UniCredit, il campione che si presenterà allo stacco lunedì può vantare un ottimo curriculum, con dividendi che in media sono aumentati di circa il 50% nell’ultimo triennio e addirittura del 150% in 5 anni. Frutto della ripresa economica che alla fine si è affacciata anche in Italia, certo, ma anche una tendenza che potrebbe proseguire se ci si dovesse fidare delle proiezioni degli analisti raccolte da Bloomberg, che mettono in conto un ulteriore incremento medio del 46% da qui al 2021.
Una goccia nell’Oceano globale
Messi a confronto con i dividendi distribuiti a livello globale, quelli di Piazza Affari appaiono tuttavia come la classica goccia nell’Oceano e non poteva essere altrimenti, visto il peso piuttosto limitato del nostro mercato azionario, la cui capitalizzazione non raggiunge neanche l’1% delle Borse mondiali. Anzi, i 18 miliardi di dollari equivalenti versati dalle società quotate sul listino milanese nel corso degli ultimi 12 mesi corrispondono in realtà a quasi l’1,5% degli oltre 1.100 miliardi del monte cedole rilevate su scala mondiale dalle stime di Fidelity International.
Anche lo stesso dividend yield medio (3,2%) superiore a quello registrato per l’indice Msci Acwi che riunisce mercati sviluppati ed emergenti (2,4%) lascerebbe pensare a una certa attrattiva per il nostro Paese dove però, questa la principale critica rivolta dagli analisti, le cedole risultano eccessivamente concentrate su un pugno di nomi impegnati principalmente del settore bancario ed energetico e quindi rendono potenzialmente vulnerabile un investimento simile.
Il traino (e le insidie) Usa
Altrove sono ovviamente di gran lunga gli Stati Uniti a distribuire la fetta più rilevante con 406 miliardi, quasi il 42% dell’ammontare totale, seguiti dall’Europa continentale (214 miliardi), dalla Gran Bretagna (129 miliardi) che presenta anche il dividend yield medio più elevato (4,5%), con un contributo significativo pure dagli emergenti (133 miliardi). Il ciclo economico (e quello degli utili) Usa è però unanimemente riconosciuto attraversare una fase più matura rispetto all’Europa e al resto del mondo. Una circostanze questa che, unita al fatto che le aziende di Wall Street abbiano negli ultimi 6 anni costantemente speso fra investimenti, distribuzione di utili e buyback più di quanto abbiano incassato indebitandosi per farlo, suggerisce un atteggiamento prudente. Anche i dividendi, evidentemente, non sono destinati a durare necessariamente in eterno.
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