Non c’è stato il temuto «attacco» al debito italiano, né dopo l’esito incerto del voto del 4 marzo scorso e neppure adesso che, come era nelle previsioni, si fatica a dare un Governo al Paese. Il rendimento dei BTp è anzi tornato sui valori dello scorso autunno (1,71% per il titolo decennale) e il «famigerato» spread nei confronti del Bund si è addirittura riportato a quota 117, cioè ai livelli minimi dall’estate scorsa. Sulle ragioni all’origine di questa mancata reazione ci si è a lungo interrogati e si continua a farlo, fornendo sostanzialmente tre tipi differenti di risposte.
C’è infatti chi tira in ballo la «protezione» offerta dalla Bce, i cui riacquisti di titoli di Stato, compresi quelli italiani, proseguono anche se a un ritmo più ridotto rispetto al passato (il piano complessivo denominato Pspp, Public sector purchase programme, vale ancora 30 miliardi di euro al mese). C’è poi chi spiega come in uno scenario di generale di ripresa economica globale, per l’Europa e perfino per l’Italia, ci sia in fondo poco spazio per ondate di avversione al rischio sui mercati. E c’è infine chi sostiene che, come accaduto in precedenza per la Brexit e per l’elezione di Donald Trump, il rischio politico non sia in grado di condizionare più di tanto gli investitori, a maggior ragione quando si parla dell’Italia, che non fa proprio della stabilità dei Governi la propria virtù principale.
C’è titolo di Stato e titolo di Stato...
In ogni caso, quando si chiedono lumi ad analisti ed economisti, ci si sente piuttosto rispondere che il nostro Paese e le sue vicende politiche restano inquadrate come un problema di medio-lungo termine e non immediato. Qualcuno però avverte come, in via generale, si abbia la sensazione che si stiano sottostimando le insidie che arrivano dalla politica, e dal possibile avanzamento di forze critiche verso i sistemi finora al potere, in Italia come nel resto d’Europa. E allora è forse anche utile notare che non tutti i titoli del Tesoro sono uguali: qualcuno, in questa fase comunque non negativa, si è comportato un po’ meglio degli altri.
La svolta per i CcT
Da inizio anno si è infatti assistito a un progressivo crescente interesse da parte degli investitori verso i CcT, ovvero quei Certificati di credito del Tesoro che hanno una cedola variabile (indicizzata all’Euribor a 6 mesi), che con i loro 139 miliardi di euro rappresentano circa il 7% del debito complessivo italiano collocato sul mercato secondario e che in generale sono stati piuttosto bistrattati negli ultimi anni, complice ovviamente la discesa sottozero degli stessi tassi di interesse nell’era del quantitative easing. Qualcosa però sembra essere cambiato: «Nell’ultimo mese la preferenza degli investitori per i titoli a tasso variabile è evidente», confermano dall’Ufficio Studi di Marzotto Sim, sottolineando come lo spread di credito che l’investitore richiede per investire nei CcT si sia quasi riallineato a quello per i BTp, titoli a tasso fisso.
Una circostanza questa che gli analisti spiegano con «il parziale aumento dell’avversione al rischio, nel timore, sempre latente, degli effetti della fine del Qe e nella conseguente ricerca di protezione dal rischio di tasso». In altre parole, qualcuno con cautela si sta preparando a un futuro rialzo dei tassi di mercato in previsione, se non della prima «stretta» della Bce (che non si prevede prima di 12 mesi), quantomeno di un’ulteriore riduzione o addirittura del termine del piano di riacquisti ideato da Mario Draghi.
Il discorso si intreccia però anche con la situazione politica italiana. Parlando in termini di percezione del rischio Paese, Marzotto Sim ritiene che si possa assistere a effetti negativi «soltanto con scenari estremi, ovvero nell’ipotesi di un governo “ultra populista” che potrebbe rallentare il processo di riforme avviato dai precedenti esecutivi». In questo caso non sarebbe neanche da escludere, secondo gli analisti, che il rendimento del decennale italiano possa risalire ben oltre il livello del 2%.
“«Qualora dovessero verificarsi correzioni legate alle dinamiche di formazione del nuovo governo italiano si potrebbero creare interessanti opportunità di entrata nel segmento CcT»”
Marzotto Sim
Ma la nota interessante, soprattutto agli occhi di un risparmiatore, è che in uno scenario simile il comparto dei titoli a tasso variabile (cioè i CcT) «potrà continuare a performare positivamente, anche se a breve saranno possibili alcune pressioni per l’attesa emissione del nuovo CcT settembre 2025». Non solo: «Qualora dovessero verificarsi correzioni legate alle dinamiche di formazione del nuovo governo italiano - sostiene Marzotto Sim - si potrebbero creare interessanti opportunità di entrata nel segmento CcT, che in genere è di fatto più sensibile a questi tipo di eventi rispetto ai BTp». Non sarà forse la protezione assoluta che tutti cercano nel caso di un ritorno di avversione al rischio, ma rappresenta pur sempre un’opportunità da giocarsi in chiave tattica.
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