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Barile record e boom di utili, ma sulle petrolifere la Borsa resta…

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le trimestrali delle major

Barile record e boom di utili, ma sulle petrolifere la Borsa resta diffidente

Il prezzo del barile è ai massimi dal 2014 e anche le Major petrolifere si sono risollevate dalla polvere, ritrovando bilanci più solidi di quelli che esibivano prima della crisi, quando il greggio scambiava oltre 100 dollari. Al test delle prime trimestrali il mercato continua però a mostrare diffidenza verso il settore, che finora in borsa non è riuscito a correre quanto il greggio.

Esemplare è quanto è accaduto ieri a Royal Dutch Shell e Total: entrambe hanno fatto il pieno di profitti, superando le previsioni, ma i loro bilanci non hanno ricevuto la stessa accoglienza.

Il colosso anglo-olandese è arrivato a perdere il 3% a Londra, nonostante un utile netto in crescita del 42% nei primi tre mesi dell’anno, a 5,3 miliardi di dollari. L’attenzione del mercato si è concentrata su altro, ossia sulla cassa: le operazioni hanno generato 9,4 miliardi, tanto ma non abbastanza per gli investitori, che speravano di più (invece i flussi sono stabili) e soprattutto volevano veder impiegare subito il denaro in buyback.

Shell nei mesi scorsi aveva in effetti anticipato di voler riacquistare azioni proprie per 25 miliardi di $ entro il 2020. Ma per ora non si è mossa e ieri non ha dato indicazioni su quando comincerà.

Total ha invece già avviato i  buyback – importanti non solo per remunerare gli azionisti, ma anche per correggere l’effetto dilutivo dei dividendi scrip, ossia pagati in titoli, adottati da molte compagnie durante la crisi – e ieri ha pure aumentato la cedola. Probabilmente è stata soprattutto questa generosità a farle guadagnare quasi il 2% in Borsa.

L’altro asso nella manica è stato il cash flow, aumentato del 50% a 2,8 miliardi di $ nel primo trimestre. Meno plateale la crescita degli utili, che comunque – grazie a una produzione record – hanno battuto le attese (2,9 miliardi di $, +13%).

I profitti non sembrano comunque sufficienti per conquistare l’entusiasmo degli investitori, ancora timidi nel riaccostarsi ai titoli petroliferi, nonostante il rally del greggio abbia dimostrato di avere fiato. Il prezzo del barile è più che raddoppiato negli ultimi due anni e il Brent ha da poco superato 75 $, un livello remunerativo per qualunque progetto di estrazione.

«La fiducia nel settore è ancora fragile – ha riconosciuto qualche giorno fa il ceo di Shell, Ben van Beurden – Bisogna che mostriamo un po’ più a lungo che siamo davvero convinti di quello che diciamo sulla disciplina nell’impiego del capitale e sulla restituzione dei flussi di cassa agli azionisti».

Qualche segnale di risveglio dei titoli petroliferi a dire il vero si è visto di recente: in Europa il settore Oil & Gas vanta la migliore performance quest’anno (anche se il rialzo è del 7%, a fronte di un rincaro di oltre il 10% del greggio) ed è appena tornato sui livelli di tre anni fa.

Le valutazioni delle società attive nell’esplorazione e produzione di idrocarburi secondo Barclays scontano però tuttora un prezzo del greggio di 52 dollari, oltre 20 dollari più basso dei valori attuali. «Gli investitori, in particolare quelli generalisti – commentano gli analisti della banca – sembrano essere sempre più scettici sul valore di lungo termine degli asset nel petrolio e nel gas, a causa dei rischi per l’offerta e per la domanda rappresentati da shale oil e veicoli elettrici».

Altri indizi segnalano che la crisi del settore in Borsa non è ancora del tutto superata. A Wall Street le compagnie faticano a correre col greggio: la correlazione tra il Wti e i titoli petroliferi è scesa dal 90% nel 2017 al 36% nel 2018, osserva Tamas Varga, analista di Pvm.

Recuperare terreno non sarà facile, anche perché la capitalizzazione delle società energetiche si è ridotta moltissimo: ai loro massimi, nel 2008, rappresentavano il 13% dell’indice Msci World, ora la quota si è ridotta al 6%, il minimo da 17 anni.

Complice anche l’emergere di giganti hi-tech, la classifica delle maggiori società quotate negli Usa si è rivoluzionata: ExxonMobil, che dieci anni fa era sul podio, adesso è al nono posto e il suo tramonto secondo alcuni osservatori potrebbe anche essere definitivo, visto che il mondo sta intensificando gli sforzi per ridurre l’impiego di combustibili fossili. Le Major ne sono consapevoli.

«Una parte della comunità degli investitori – riconosce Bob Dudley, ceo di Bp – ci chiede perché non spendiamo di più in batterie, auto elettriche e rinnovabili».

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