Esportatori europei e italiani non fatevi troppe illusioni: l’indebolimento improvviso dell’euro sul dollaro di questi giorni potrebbe essere temporaneo. Il ribasso del cambio da 1,2374 del 18 aprile al minimo di 1,2056 toccato ieri nel primo pomeriggio (che significa un indebolimento della moneta unica pari al 2,57%) potrebbe avere il fiato corto. Perché per ora è frutto più di aggiustamenti dei portafogli speculativi, colti in contropiede dal balzo dei rendimenti dei titoli di Stato Usa oltre il 3%, che di un vero cambio di visione sul mercato. Nel medio termine il trend potrebbe dunque invertirsi di nuovo: i fondamentali dell’economia sembrerebbero infatti spingere tutt’ora dall’altra parte. Cioè verso il rafforzamento dell’euro. O, quantomeno, non verso il suo indebolimento.
Le ragioni dell’inversione a U
Fino a pochi giorni fa la speculazione scommetteva sul dollaro debole e sull’euro forte. Lo dimostrano i dati di Bank of America, secondo cui la scommessa ribassista sul dollaro era la seconda più gettonata speculazione sui mercati finanziari. Lo confermano anche i dati della Cftc, secondo cui la speculazione rialzista sull’euro attraverso i futures ha addirittura toccato i massimi storici. Persino gli investitori istituzionali si muovono nella stessa direzione: lo certifica un’indicatore elaborato da Amundi (aggiornato al 24 aprile), secondo cui il dollaro è la valuta tra quelle del G10 più sottopesata nei portafogli e l’euro quella più sovrappesata. Insomma: tutti scommettono, o almeno scommettevano fino a pochi giorni fa, sul super-euro e sul dollaro debole.
Ma questa settimana è accaduto un evento che ha mischiato le carte in tavola: il rendimento dei titoli di Stato Usa decennali è salito oltre il 3%. Questo evento ha ridato appeal ai titoli di Stato Usa, creando un improvviso flusso di capitali verso il mercato americano. Il dollaro è quindi rincarato su tutte le valute. Euro incluso. Così molti investitori che speculavano al ribasso sul biglietto verde si sono trovati spiazzati e hanno dovuto correre ai ripari. Comprando dollari. Non solo. Giovedì 26 aprile - racconta da Londra Andrea Fioravanti, portfolio manager specializzato in valute - sono scadute alle ore 16 alcune opzioni put sull’euro/dollaro con prezzo di esercizio a 1,22 per un importo di 5 miliardi. «Questo ha eliminato una sorta di tappo che teneva la moneta unica ancorata su quel livello», spiega Fioravanti. Non è un caso che in soli 20 minuti, proprio a partire dalle 16 di giovedì quando Draghi aveva già finito di parlare, l’euro sia sprofondato da oltre 1,22 a 1,2104. Tutto questo conferma che il ribasso della moneta unica di questa settimana è stato fomentato dalla speculazione. Che è di breve periodo.
Le ragioni dell’euro forte
Se si guardano i fondamentali, quelli che guidano i mercati nel medio termine, la storia sembra diversa: molti fattori sembrano spingere verso il rafforzamento dell’euro. O, quatomeno, limitano il suo indebolimento. Il primo è la politica fiscale di Donald Trump. Il mercato crede che possa surriscaldare l’economia Usa nel 2018, creando però debito e deficit in futuro. Questo - storicamente - ha un effetto depressivo sul dollaro.
Il secondo motivo è legato alle banche centrali. È vero che la Fed sta alzando i tassi (il che dovrebbe rendere il dollaro più attraente), ma è anche vero che il mercato guarda in prospettiva: sarà la Bce ad alzare i tassi prima o poi. Questo avvantaggia dunque l’euro. A tenere alta la moneta unica c’è poi un terzo motivo: il deficit commerciale Usa nei confronti dell’Europa. E un quarto: le banche centrali dei Paesi emergenti sono ancora sotto-esposte sull’euro. «Questo - spiega Fioravanti - crea una domanda di moneta europea». Tutti validi motivi, questi, per ritenere che l’euro tornerà ad apprezzarsi. La pensa così Monica Defend, head of strategy di Amundi: «Secondo i nostri modelli di equilibrio se anche l’euro salisse a 1,24, il dollaro sarebbe ancora sopravvalutato. Figurarsi ora che il cambio è intorno a 1,21».
Le ragioni dell’euro debole
In realtà ci sarebbe anche un motivo che giustificherebbe un indebolimento dell’euro: il fatto che negli Usa i tassi d’interesse sono ben più elevati che in Europa dovrebbe spingere i flussi di capitali verso l’America. E apprezzare il dollaro. «Attualmente sulla scadenza a 2 anni lo spread tra i titoli di Stato Usa e quelli europei è oltre il 3% - osserva Francesco Castelli, Cfa di Banor Capital -. L’ultima volta che il differenziale dei tassi è stato così alto, l’euro era debolissimo infatti».
Ma secondo alcuni questo meccanismo ormai funziona poco. «I tassi sono distorti dalle banche centrali - osserva Defend -. Questo non permette alla normale idraulica dei mercati di funzionare, per cui le valute si stanno muovendo senza tenere molto conto di questo fattore. I paradigmi classici non funzionano più». Morale: nella bilancia del cambio euro/dollaro, sembra che il “piatto” con le motivazioni per rafforzare la moneta unica siano più pesanti. Così pensano alcuni. Non tutti: c’è chi, come Hsbc, ha rivisto al ribasso le stime sull’euro/dollaro. Anche perché se l’economia Ue dovesse rallentare davvero, allora i fondamentali potrebbero pendere di nuovo verso l’euro debole.
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