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La fabbrica dei soldi dei big tech americani che in Borsa valgono 3.541…

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La fabbrica dei soldi dei big tech americani che in Borsa valgono 3.541 miliardi di dollari

Le chiamano «Gafam». Cioè l’acronimo di: Google (Alphabet), Apple, Facebook, Amazon e Microsoft. Sono le «Big five» dell’hi-tech made in Usa. Aziende con una capitalizzazione di Borsa di circa 3.541 miliardi di dollari. Una cifra che è il risultato anche, e soprattutto, di diversi business model e strategie di sviluppo. Il Sole24ore, analizzando i bilanci societari dell’ultimo esercizio, ha tentato di capire come le «Big five» fabbricano ricavi e profitti. Partiamo da Amazon. Il colosso del commercio elettronico, nel 2017, ha realizzato un giro d’affari di 177,87 miliardi di dollari. Di questi 106,11 miliardi sono generati nel Nord America; le attività internazionali valgono 54,29 miliardi. Infine l’Amazon web services (Aws) ha realizzato ricavi per 17,46 miliardi. Dai numeri, quindi, parrebbe che l’ultima voce (il cloud computing) sia la meno rilevante.

La “miniera” dei servizi cloud
La considerazione è scorretta. Guardando alla redditività operativa, infatti, la storia cambia. Il Nord America genera un “operating income” di 2,84 miliardi. Le attività internazionali, invece, sono in perdita per 3,06 miliardi. Un rosso più che controbilanciato dal risultato di Aws: qui la redditività è di 4,33 miliardi. Insomma: Amazon, a livello consolidato, guadagna soldi grazie al cloud computing. C’è da stupirsi? No è l’effetto della strategia aziendale, rispondono gli esperti. Amazon, sottolinea CB Insight, punta a rendere globale la sua piattaforma: spenderà miliardi di dollari per espandere (ad esempio in India ed Australia) il suo modello di business basato su prezzi scontati, ampia offerta e consegna veloce. Allo stato attuale, fuori dal Nord America, non è prioritario essere redditizi. Al contrario fondamentale è acquisire clientela e creare la struttura tecnologico-logistica per supportare la crescita e i servizi, anche finanziari. Tanto poi, di là dalle polemiche sulla web tax europea o le condizioni contrattuali dei lavoratori, ci pensa per ora il cloud computing.

I BILANCI DEI GIGANTI DELL’HI-TECH
Note: *cloud computing; ** include tra le altre le cose fee associate con Amazon prime; ° tra le alte cose servizi tv e di R&D. In generale business in fasi iniziali; °° Ad esempio licenze suWindows, Xbox e search advertising; °°° Diverse attività: da Office 365 fino a Linkedin. Fonte: dati societari di bilancio, Bloomberg, marzo 2018

Diversa, sul fronte dei ricavi, è la situazione di Facebook. La piattaforma social, lo scorso esercizio,ha raggiunto un fatturato di 40,65 miliardi di dollari. Di questi ben il 98% è stato generato dalla pubblicità. Un risultato, scrive la società, dovuto oltre all’incremento del prezzo medio degli “spot” e al numero degli utenti coinvolti, alla crescita dell’advertising nel mobile (smartphone). Nel 2016 questo segmento valeva circa l’83% dei ricavi da pubblicità; un anno dopo è arrivato all’88%.

I tasti delicati di reputazione e privacy
A fronte di simili numeri si comprende il perché dei dubbi dopo lo scoppio del «datagate» legato alla società di consulenza politica Cambridge Analytica. In un modello di business così concentrato (almeno finora) sulla pubblicità la reputazione del brand è essenziale. Quando la sua percezione, a torto o a ragione, rischia di peggiorare c’è la probabilità di perdere inserzionisti. Ciò detto, alcuni giorni fa Facebook ha presentato i dati sul primo trimestre del 2018: i ricavi sono saliti attorno al 50% e l’utile netto di circa il 63%. Scampato pericolo? Presto per dirlo. Al di là che lo scandalo è scoppiato nella parte finale del “quarter”, secondo gli esperti, gli inserzionisti attualmente stanno alla finestra. Vogliono, da una parte, capire come evolve la situazione rispetto al «datagate»; e dall’altra comprendere qual è il possibile impatto in Europa della nuova direttiva Ue sulla privacy.

Quella privacy che è un tema sensibile per la stessa Alphabet (la holding che controlla Google). Il gruppo di Mountain View, nel 2017, ha raggiunto 110,85 miliardi di fatturato (erano 90,27 nel 2016). Qui la porzione legata alla pubblicità, seppure molto alta, è inferiore a quella di Facebook: si assesta oltre l’86%. Certo: il continuo spostarsi, spiega la società, dal mondo offline all’online contribuisce all’incremento dei ricavi da advertising. Una pubblicità che va ricordato, grazie al contributo di YouTube, si articola sempre di più anche nell’utilizzo dei più “tradizionali” video-spot. Ciò detto, però, da un lato la stessa Alphabet sottolinea che il fatturato da “non-advertising” (dal cloud ai prodotti hardware fino a Google play) va aumentando; e dall’altro che, come mostra il balzo dei capex nell’ultimo trimestre, c’è sempre più voglia di ampliare il raggio d’azione. Anche su tecnologie di frontiera. «Si tratta - spiega Marta Valsecchi, direttore delle operations degli Osservatori del Politecnico di Milano - di un fenomeno trasversale a tutte queste aziende. L’obiettivo è, sfruttando la digitalizzazione dell’economia, entrare in settori contigui ai loro tradizionali. Per poi monetizzare gli sforzi, soprattutto attraverso i big data e la base di utenti».

La sfida alle banche. E all’intelligenza artificiale
Un esempio, in tal senso, è la sfida alle banche nei sistemi di pagamento. Senza dimenticare, poi, l’intelligenza artificiale. Qui, ricorda tra le altre cose CB Insight, è forte l’impegno delle «Big five» nel realizzare il migliore assistente virtuale. Una tecnologia, usuale negli smartphone, la quale si diffonderà sempre di più in altri ambiti come la domotica. Ma non è solo l’Ia. Microsoft nell’esercizio 2016- 2017 ha realizzato un fatturato di 89,95 miliardi (96,7 miliardi rettificati). Di questi 30,44 sono appannaggio del “Productivity and Business Processes” (da Office 365 fino a LinkedIn); 38,7 miliardi sono generati dal “More personal computing” (ad esempio licence su Windows, l’Xbox e il search advertising) mentre i rimanenti 27,4 miliardi riguardano il mondo cloud. Analogamente ad Amazon, però, quest’ultima area a livello di redditività assume maggiore importanza. Così non stupisce che, proprio nell’ultimo trimestre, la piattaforma pubblica cloud “Azure” della società fondata da Bill Gates ha visto i ricavi crescere del 98%.

Infine Apple. La società della mela morsicata ha il giro d’affari più ampio: nell’ultimo esercizio è stato di 229,23 miliardi. La quota maggiore (61,6%), inutile dirlo, arriva dal business dell’iPhone. Poi, ben distanziati, ci sono le altre linee di prodotto dell’iPad (8,4%) e del Mac (11,3%). Importanti, inoltre, i cosiddetti servizi (13,07%). In quest’area Apple riconduce diverse attività: dai ricavi sui contenuti digitali (iTunes) ad Apple care (servi di assistenza It) fino ad Apple Pay. Da non dimenticare, peraltro, gli altri prodotti (5,6% del fatturato) che ricomprendono, tra gli altri, l’orologio Apple e l’iPod touch. Insomma. La fotografia della società di Cupertino mostra, da un lato, la sua dipendenza dal mondo iPhone; ma, dall’altra, una diversificazione di attività che, peraltro, è comprovata dagli investimenti sulle nuove tecnologie. Il tutto ricordando che, quello di Apple, è un habitat tecnologico dove la fidelizzazione dei suoi abitanti è sempre più invogliata dalla stessa azienda.

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