Da qualche giorno a questa parte, dopo il caffé mattutino, il primo grafico che i gestori osservano è lo spread tra Usa e Germania. Perché la differenza dei tassi a 10 anni espressa dalle due economie rappresentative delle due aree più forti del pianeta (Usa ed Eurozona) ha raggiunto livelli considerati da più parti esagerati: 240 punti. Una soglia che a questo punto va tenuta sotto controllo sul serio. Il T-Bond è tornato in area 3% mentre il Bund fa fatica a reggere la soglia dello 0,6%.
Uno spread così importante non si vedeva dal 1989, quando per la cronaca a Berlino era ancora eretto il famoso muro. Lo spread tra Usa e Germania a tali livelli non è una follia ma è, molto semplicemente, figlio soprattutto della differenza del timing di espansione del ciclo economico. Mentre gli Usa sono a uno stadio avanzato e maturo della fase di crescita l’Europa è più indietro perché solo tra qualche mese dovrebbe (Draghi permettendo) porre fine alle politiche monetarie ultra-accomodanti. Lo spread Usa e Germania su tali livelli è poi anche il figlio di differenze di inflazione importanti tra le due economie: negli Usa siamo al 2,4%, in Germania all’1,6%.
C’è un altro grafico che preoccupa gli investitori e arriva sempre dagli Stati Uniti. La differenza tra i rendimenti a 10 e 2 anni si è assottigliata a 46 punti. Ciò vuol dire che i titoli a 2 anni pagano il 2,5% mentre quelli a 10 quasi il 3%. In altre parole, osservando una curva dei tassi così appiattita si ha il segnale che i mercati non si aspettano anche nel lungo periodo più di due rialzi dei tassi negli Usa e ciò conferma che il ciclo di crescita degli Usa è considerato ormai maturo.
Tirando le somme, questo spread sta aumentando i dubbi dei gestori su quale posizione prendere. Perché tassi così alti negli Usa iniziano ad essere allettanti, soprattutto se confrontati in uno scenario di Borse sui massimi a fronte di un ciclo economico di crescita, come detto, maturo (con quanti altri anni alle spalle?).
«Un investitore europeo che volesse comprare Usa oggi inizia seriamente a domandarsi se, a parità di rischio cambio, convenga “entrare” sull’indice azionario S&P 500 molto caro a 2.560 punti, piuttosto che non acquistare un T-Bond a 2 anni che rende il 2,5% - spiega Gianluca Beccaria, analista di Directa Sim e responsabile territoriale di Banca Consulia -. E la seconda opzione sta prendendo sempre più quota».
La chiave di volta è il cambio euro/dollaro. Nelle ultime sedute il cambio è sceso da 1,24 a 1,2 (l’euro quindi si è svalutato sul biglietto verde) in concomitanza con la progressione dei tassi Usa che hanno visto salire il T-Bond a 10 anni dal 2,8% al 3%. Tassi Usa più alti hanno attirato nuovi investitori che quindi hanno fatto incetta di dollari per entrare sui titoli di Stato Usa.
Un europeo che compra Borse e/o bond governativi Usa deve preoccuparsi ovviamente del rischio cambio. Se l’euro si rafforza sul cambio c’è una perdita che rischia di vanificare il vantaggio delle cedole. Se invece è il dollaro a rafforzarsi l’effetto cambio si trasforma in un ulteriore vantaggio, oltre a quello di aver avuto accesso a tassi più alti puntando sugli Stati Uniti.
Come si muoverà in futuro l’euro/dollaro? «Se ci limitassimo a osservare i differenziali di tasso - prosegue Beccaria -. Il cambio dovrebbe essere anche molto sotto i livelli attuali. Ma una minor fiducia internazionale che oggi gli Usa riscuotono per via delle politiche contraddittorie di Trump e il maggiore indebitamento (solo nel primo trimestre del 2018 il debito netto è aumentato di 488 miliardi, ndr) giocano per una svalutazione del dollaro e un rafforzamento dell’euro. Non è da escludere che il cambio euro/dollaro possa quindi rafforzarsi ancora un po’, seppur al netto di fattori politici e di debito dovrebbe essere anche sotto 1,15».
“Un investitore europeo che oggi compra un T-Bond a 2 anni senza coprirsi dal rischio cambio vedrebbe vanificato il proprio guadagno solo con un euro/dollaro a 1,28. È un cuscinetto interessante”
Gianluca Beccaria, analista di Directa Sim
Un altro aspetto riguarda i costi di copertura dal rischio cambio. «Oggi questo costo è diventato molto alto, anche oltre il 2% all’anno - conclude Beccaria -. Il che significa che in futuro potrebbe crescere il numero di investitori che considererà inefficiente sostenerlo. Facciamo due calcoli: i titoli tedeschi a 2 anni sono a -0,56% mentre i T-bond a 2 anni al 2,5%. Ciò vuol dire che in 2 anni c’è una differenza cedolare di oltre 6 punti percentuali a vantaggio di un investimento negli Usa. Il che significa che un investitore europeo che oggi compra un T-Bond a 2 anni senza coprirsi dal rischio cambio vedrebbe vanificato il proprio guadagno solo con un euro/dollaro a 1,28. È un cuscinetto interessante. A cui alcuni iniziano a pensare in un quadro dove tuttavia investire è molto più complicato. Perché non sono solo i tassi a influenzare i rendimenti ma anche la politica e le incertezze legate a Trump, fattori questi non intercettabili».
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