Andamento titoli
Vedi altroEra stata la prima major petrolifera occidentale a rientrare in Iran, firmando a fine 2016 un contratto per il giacimento South Pars. Ora Total avverte che sarà probabilmente costretta a ritirarsi, perché «non può permettersi di incorrere in nessuna sanzione secondaria» da parte degli Stati Uniti.
Il comunicato della compagnia francese arriva proprio mentre l’Unione europea sta lavorando per trovare «soluzioni pratiche» che consentano di proseguire gli investimenti nella Repubblica islamica e le importazioni di greggio iraniano: un passaggio essenziale per sperare di tenere in piedi l’accordo sul nucleare.
Total non sembra fare troppo affidamento sugli sforzi di Bruxelles e comincia a prepararsi al peggio. Il pessimismo è condiviso dalla danese Maersk Tankers, che quasi in contemporanea ha annunciato che le sue petroliere si preparano a abbandonare le rotte iraniane. D’altra parte c’è anche chi continua a fidarsi.
Ieri sera a Teheran una società britannica, la Pergas Resources International, ha siglato un’intesa preliminare con la National Iranian South Oil Company (Nisoc) per espandere la produzione di petrolio del giacimento Karanj. «Speriamo che il governo del Regno Unito sostenga l’accordo», ha commentato il ministro iraniano Bijan Zanganeh, rivolgendosi all’ambasciatore britannicoRob Macaire, presente alla cerimonia.
Eni, in passato una delle major più attive in Iran, oggi «non ha investimenti nel Paese» ha chiarito il ceo Claudio Descalzi, né intende farne, anche se l’anno scorso aveva esaminato le potenzialità di sviluppo dei giacimenti Kish e Darquain. La compagnia italiana ha recuperato tutti i crediti con Teheran e l’unica attività residua è l’acquisto di 2 milioni di barili di greggio al mese, in forza di un contratto siglato prima del ripristino delle sanzioni Usa e che scadrà a fine anno.
Total non ha ancora perso del tutto le speranze. La compagnia ha confermato che sta trattando, con l’assistenza del governo francese, per ottenere un’esenzione dalle sanzioni Usa. Nel frattempo ha però sospeso ogni attività relativa a South Pars, perché se non riuscirà a convincere Washington «non sarà nella posizione di continuare il progetto».
Total – come molte altre società europee – è troppo esposta con gli Stati Uniti per rischiare: eventuali sanzioni secondarie, spiega, potrebbero includere la perdita di finanziamenti in dollari, che per il 90% coinvolgono banche americane, l’abbandono di azionisti Usa (che sono oltre il 30%) o l’impossibilità di operare negli Usa, dove la compagnia ha oltre 10 miliardi di dollari di capitale investito.
Sull’altro piatto della bilancia c’è il contratto per la Fase 11 di South Pars, che punta a sviluppare una capacità aggiuntiva di 18 miliardi di metri cubi di gas l’anno da destinare al mercato iraniano.
Teheran, assetata di capitali stranieri, aveva concesso condizioni molto favorevoli. Total – che è operatore con il 51% del progetto – afferma comunque di aver speso finora solo 40 milioni di euro e assicura che un eventuale abbandono non comprometterebbe il piano di accrescere la sua produzione di idrocarburi del 5% l’anno tra il 2016 e il 2022.
Secondo indiscrezioni di stampa la partecipazione potrebbe essere prontamente rilevata dall’altro socio straniero di South Pars 11, la cinese Cnpc, che oggi ha il 30%.
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