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I cinque fattori che fanno salire il prezzo del petrolio (e della…

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BRENT A 80 DOLLARI

I cinque fattori che fanno salire il prezzo del petrolio (e della benzina)

Dopo anni di debolezza il petrolio ha ripreso a correre, accelerando i rialzi nell'ultima settimana, quando il Brent ha raggiunto quota 80 dollari al barile: un rally sempre più scatenato, che ha portato alcuni analisti a rinnovare la previsione di un ritorno a prezzi superiori a 100 dollari e che ha già iniziato a pesare sulle tasche dei consumatori. In Italia i prezzi alla pompa (per oltre il 60% rappresentati da tasse e accise) hanno superato 1,6 euro al litro, ai massimi dal 2015. Ecco i motivi principali per cui le quotazioni del barile stanno salendo alle stelle.

Le sanzioni contro l'Iran
Il prezzo del petrolio, che nel 2016 era crollato addirittura sotto 30 dollari, stava già risalendo da mesi. Ma la fiammata più recente è legata in gran parte al ripristino delle sanzioni contro Teheran da parte degli Stati Uniti. Nel 2012-2015 (quando anche l'Unione Europea, diversamente da oggi, aveva adottato misure analoghe) il mercato era arrivato a perdere oltre un milione di barili al giorno di greggio iraniano. Oggi le previsioni sull'impatto restano incerte. Tuttavia moti armatori, per il timore di incorrere in sanzioni secondarie, si stanno già rifiutando di effettuare trasporti da e verso l'Iran. L'acuirsi delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente contribuisce a sua volta a tenere alte le quotazioni del petrolio, anche a prescindere dall'effettivo calo dell'offerta

La crisi in Venezuela
Un altro fattore di sostegno ai prezzi del petrolio è la crisi del Venezuela, che si sta aggravando sempre di più. Il Paese, che un tempo era un importante fornitore di greggio, è al collasso. E la sua industria petrolifera sta andando a rotoli: la produzione è crollata del 40% in due anni, a 1,4 milioni di barili al giorno ¬¬¬ - il minimo da oltre trent'anni – e minaccia di diminuire ulteriormente, addirittura scendendo sotto 1 mbg entro fine anno secondo alcuni analisti. I creditori hanno iniziato nei giorni scorsi a pignorare impianti della compagnia venezuelana Pdvsa, limitando la sua capacità di esportazione

L'Opec (e l'Arabia Saudita)
Un contributo determinante per rilanciare il prezzo del petrolio è arrivato dall'Opec, che a dispetto degli scettici è riuscito a costruire una solida alleanza con la Russia e altri Paesi. I tagli di produzione congiunti, in vigore da gennaio 2017, sono stati addirittura superiori alle attese, anche perché alcuni partecipanti ¬– il Venezuela, ma anche l'Angola o il Messico – hanno subito un calo involontario della produzione. Nonostante l'enorme crescita delle estrazioni di shale oil negli Stati Uniti, oggi l'eccesso di petrolio sul mercato è scomparso, lasciando il posto a una situazione di deficit: attualmente i consumi globali di greggio superano di circa 600mila barili al giorno l'offerta. E le scorte continuano a scendere: a marzo nei Paesi Ocse sono andate sotto la media degli ultimi cinque anni, proprio come si proponevano l'Opec e più di tutti l'Arabia Saudita, che punta a un prezzo del petrolio elevato (almeno 80 dollari, forse anche di più) in vista del collocamento in Borsa della sua compagnia di stato, la Saudi Aramco.

La domanda (per ora…)
Grazie alla crescita robusta dell'economia globale e alla discesa del prezzo del barile negli ultimi anni, la domanda di petrolio sta aumentando a ritmi storicamente molto elevati. Le ultime previsioni dell'Agenzia internazionale dell'energia (Aie) indicano tuttora un incremento di 1,4 milioni di barili al giorno nel 2018, ma l'organismo dell'Ocse avverte che la crescita dei consumi ora potrebbe rallentare:
«Il fatto è che il i prezzi del greggio sono aumentati di circa il 75% da giugno 2017 – osserva l'Aie – Sarebbe straordinario se un balzo tanto grande non intaccasse la crescita della domanda, soprattutto dopo che negli ultimi anni diversi Paesi emergenti hanno ridotto o eliminato i sussidi per i consumatori finali».

La speculazione
Per lungo tempo le banche e i fondi di investimento sono rimasti scettici sull'efficacia dell'azione dell'Opec, anche perché la produzione di shale oil negli Stati Uniti cresce a ritmi impressionanti: oggi Washington estrae 10,7 milioni di barili di greggio al giorno, più dell'Arabia Saudita e quasi quanto la Russia. Ma di fronte all'evidenza si sono convinti: la domanda petrolifera oggi supera l'offerta e le scorte accumulate negli anni della crisi sono crollate. Le previsioni degli analisti stanno diventando sempre più aggressive (Bank of America-Merrill Lynch è stata la prima a prevedere un possibile balzo a 100 dollari nel 2019) e gli hedge funds si muovono di conseguenza. Nelle ultime settimane qualche posizione “lunga” (all'acquisto) è stata liquidata, ma di recente l'esposizione rialzista degli speculatori si era spinta al record storico.

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