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L’ultima tentazione di Fca: «vestirsi» da Jeep

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L’ultima tentazione di Fca: «vestirsi» da Jeep

(Epa)
(Epa)

Fca è una storia di successo ma il futuro è Jeep. L’idea di Sergio Marchionne e di John Elkann è semplice, quanto epocale: “fondere” l’industria ex-Fiat in una Jeep sempre più dominante, “vestire”, insomma, il gruppo Fca con il marchio più prestigioso e apprezzato sul mercato, quello della storica casa di fuoristrada. Il senso del processo di trasformazione in corso in Fca, volto a puntare tutto sul segmento premium a scapito della produzione di massa, altro non è che la volontà di completare la progressiva identificazione di Fca in quello che gli è riuscito meglio: il rilancio del marchio di punta ereditato da Chrysler, la vera tentazione dei grandi player.

Il percorso è già avviato, le potenzialità ci sono tutte e la strada per completarlo da qui al 2022 sarà illustrata oggi da Marchionne, nel centro di Balocco (Vercelli), davanti a 300 giornalisti e analisti finanziari, invitati al Capital Markets Day. Dato ormai per scontato l’annuncio dell’azzeramento del debito di Fca e il futuro ritorno del gruppo al dividendo, l’attenzione del mercato è tutta sui numeri che “immagina” Marchionne per il futuro di Jeep.

Il marchio Usa è destinato a ricoprire il ruolo da protagonista: le prime indiscrezioni raccontano che dovrebbe raddoppiare le vendite nel 2022 rispetto a 1,4 milioni di unità del 2017, con un’espansione in Asia, Brasile ed Europa. Questo significa che a fine percorso potrebbe arrivare a immatricolare più di 3 milioni di auto su un gruppo che quest’anno probabilmente segnerà volumi di poco inferiori a 5 milioni.

Nell’esercizio dei numeri vale la pena ricordare che dal 2009 al 2017 Jeep ha moltiplicato per quattro le sue vendite nel mondo. Erano appena 338 mila i pezzi dell’anno in cui Fiat acquisì Chrysler, sono diventati 1,4 milioni le vetture del brand Usa vendute a fine 2017 e per quest’anno il fuoristrada che ha cambiato la storia del Lingotto dovrebbe posizionarsi di poco sotto i 2 milioni. E se è vero, come sembra, che Marchionne guarda al 2022 per il raddoppio degli attuali volumi, in tredici anni Fca ha buone probabilità di diventare sinonimo di Jeep con un peso del brand Usa superiore alla soglia del 50%. Non stupisce così che il marchio Fiat, 120 anni di storia, è obbligata a ridimensionarsi: potrebbe lasciare Stati Uniti e Cina per concentrare l’attività in Europa e in Sud America. In Italia resterà la produzione della 500X a Melfi, mentre quella della Panda sarà spostata da Pomigliano in Polonia. Non sarà più prodotta la Punto, a 25 anni dal lancio e oltre 9 milioni di esemplari, non è nemmeno certo il futuro della Tipo realizzata in Turchia. Tutta la produzione italiana sarà concentrata sui modelli del lusso e sui suv trainati dal marchio Jeep.

Si lavora così prima di tutto sugli equilibri: aumentare nell’attuale perimetro il peso di Jeep avviene sia direttamente, con l’espansione su altri mercati del marchio Usa, sia indirettamente con la contrazione della produzione dello storico marchio italiano. Il tutto con l’obiettivo di rivalutare il gruppo italo americano nel suo complesso. Lo scorporo, che pur sarebbe stato preso in considerazione a fasi alterne da Marchionne e dalla proprietà, rischia di far pagare un prezzo troppo elevato agli attuali azionisti di Fca, partendo da Exor della famiglia Agnelli, che si ritroverebbero una complessa matassa da gestire ( e collocare), fatta di pezzi di storia svuotati dal motore trainante.

Intanto ieri Fca ha annunciato l’ampliamento della collaborazione con Waymo, società per lo sviluppo di tecnologie a guida autonoma che utilizza sensori sviluppati da Google nel 2009. La collaborazione era stata annunciata per la prima volta a maggio 2016: l’accordo prevede l’aggiunta di fino a 62mila minivan Chrysler Pacifica Hybrid alla flotta di veicoli a guida autonoma di Waymo.

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