Le esportazioni di petrolio dal Venezuela, già ridotte del 40% nell’ultimo anno, stanno ora precipitando a rotta di collo: a giugno le forniture potrebbero essere più che dimezzate, sottraendo al mercato almeno mezzo milione di barili al giorno di greggio che per le sue caratteristiche non è di facile sostituzione.
Le indiscrezioni che circolano nelle ultime ore dipingono una situazione drammatica. La compagnia statale Pdvsa starebbe valutando la possibilità di ricorrere alla clausola di forza maggiore sulle consegne e nel frattempo avrebbe già contattato diversi clienti per chiedere deroghe agli obblighi contrattuali.
Le deroghe riguarderebbero sia i volumi pattuiti – che potranno essere forniti solo in parte – sia le modalità di consegna: alcuni acquirenti, secondo la Reuters, si sono sentiti proporre di ritirare personalmente i carichi, organizzando (e pagando) un trasferimento ship-to-ship. In pratica dovrebbero prelevare il greggio da una petroliera in mare aperto.
Le difficoltà sono state attribuite a un ingorgo di navi al largo del Venezuela, che provoca ritardi nelle spedizioni: Pdvsa ha anche informato i clienti che respingerà le richieste di caricare o scaricare nel porto José e nei terminal del Paraguanà fino a che non avrà smaltito le code.
I sistemi di rilevazione satellitare mostrano in effetti almeno 70 petroliere vicine alle coste del Paese, ma il caos logistico non è un evento eccezionale, che Caracas può sperare di risolvere.
Molti analisti avevano previsto un effetto disastroso sull’export venezuelano, dopo il pignoramento ottenuto a maggio da ConocoPhillips di una serie di impianti strategici di Pdvsa nei Caraibi. Le azioni di sequestro dei creditori rischiano peraltro di moltiplicarsi, aggravando ulteriormente le condizioni già miserevoli dell’industria petrolifera venezuelana, che hanno fatto crollare le estrazioni ai minimi da oltre trent’anni (1,4 mbg).
Questo mese, ha detto un funzionario di Pdvsa ad Argus, Caracas potrà esportare «nella migliore delle ipotesi» 695mila bg di greggio, a fronte di impegni con i clienti per 1,5 milioni di bg.
A complicare le cose ci sono anche le manutenzioni all’impianto di trattamento PetroPiar, partecipato da Chevron, l’unico che fino a poco tempo fa funzionava ancora piuttosto bene. Già nei mesi scorsi comunque – prima dei sequestri ai Caraibi e con PetroPiar in funzione – Pdvsa non riusciva a consegnare tutti i volumi previsti dai contratti: ad aprile, secondo documenti interni visionati da Reuters, aveva spedito 1,49 mbg invece di 2,15 mg tra greggio e prodotti.
In questi giorni almeno 8 clienti sono stati informati di forniture ridotte per giugno, scrive Platts, citando la cinese Cnpc, l’indiana Reliance, la russa Lukoil, le americane Chevron, Conoco e Valero, la thailandese Tipco e la svedese Nynas.
A mancare è soprattutto il greggio Merey 16, molto pesante, adatto per l’asfalto, che non sarà facile sostiuire. Le migliori alternative sono il messicano Maya, il colombiano Castilla, il canadese Cold Lake Blend, non certo lo shale oil degli Usa, di cui c’è abbondanza. L’emergenza tuttavia per ora non scalda il mercato.
Gli investitori – evidentemente rassicurati dalle promesse di una riduzione dei tagli Opec – continuano a mantenere le quotazioni del petrolio sui minimi da un mese. Il Brent ieri ha chiuso stabile a 75, 36 $, influenzato soprattutto dall’aumento delle scorte Usa, che è stato in effetti notevole: +15,8 mb in totale la settimana scorsa secondo l’Eia (+2,1 nel caso del greggio), un record da quasi dieci anni.
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