Quota 100. Il dibattito sul sistema pensionistico italiano non può prescindere dal grado di sviluppo nel nostro Paese della previdenza complementare. Le forme pensionistiche alternative alla previdenza di base (il primo pilastro) hanno un ruolo fondamentale per portare il sistema in equilibrio. Se supportate e incentivate con adeguati benefici fiscali, potrebbero essere la risposta giusta all’esigenza di ridurre il rischio di prestazioni insufficienti. A fine 2017, secondo i dati Covip, le risorse delle forme pensionistiche complementari sono cresciute del 7,3% a 162,3 miliardi di euro (pari al 9,5% del Pil e al 3,7% delle attività finanziarie delle famiglie italiane). Un segnale incoraggiante ma ancora insufficiente.
Lo scorso anno oltre il 90% delle attività dei fondi pensione era concentrato in sette Paesi: Usa, UK, Australia, Paesi Bassi, Canada, Giappone e Svizzera. La dimensione del patrimonio dei fondi pensione supera il valore del Pil in Australia (120,4%), Paesi Bassi (182,5%), Svizzera (147,8%) e UK (105,5%). In Italia sono sempre le regioni più ricche ad avere tassi di partecipazione più elevati (pari al 35% delle forze di lavoro, con punte del 45-50%). In queste aree i versamenti contributivi, 3 mila-3.500 euro all’anno in media, sono più che doppi rispetto a gran parte del Mezzogiorno. La fascia di popolazione più penalizzata resta quella dei giovani. La ragione principale va ricercata nelle difficoltà di entrare nel mercato del lavoro con rapporti continuativi e retribuzioni congrue. Secondo Covip, sotto i 34 anni la partecipazione alla previdenza complementare è del 19% ed è di oltre un terzo inferiore rispetto a fasce di età più mature, con una contribuzione pari a meno della metà.
Come ricorda Mario Padula, presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, la prima vera inclusione che serve è quella dei giovani nel mondo del lavoro. Dobbiamo partire da questo basilare principio per migliorare il nostro sistema previdenziale. Non solo. Dobbiamo anche migliorare il livello di educazione finanziaria e previdenziale di tutte le fasce di popolazione. Gli iscritti alle forme di previdenza complementare continuano a rimanere nel comparto di ingresso e, conseguentemente, a non modificare il portafoglio nel corso del ciclo di vita.Per alcune categorie di lavoratori puntare oggi solo sui comparti garantiti è una perdita di opportunità. Soprattutto in un mercato di tassi bassi e costi di partecipazione elevati. I fondi pensione negoziali e i fondi aperti hanno reso nel 2017 in media rispettivamente il 2,6% e il 3,3%. Nello stesso periodo il Tfr si è rivalutato, al netto delle tasse, dell'1,7%. Siamo lontani, secondo i dati Ocse, dal rendimento che i fondi pensione hanno avuto in Polonia (il 14,6%), Australia (il 7,3%) o Israele (il 7,1%).
I fondi pensione e le casse previdenziali devono migliorare la gestione finanziaria puntando a una maggiore qualità dei propri portafogli, devono incrementare la diversificazione nell'allocazione degli investimenti e soprattutto devono offrire ai risparmiatori maggiore trasparenza e informazioni, per consentire loro di comparare al meglio i diversi prodotti previdenziali. Il sistema complementare ha urgenza di aumentare la sua efficienza, attraverso anche una maggiore concentrazione tra gli operatori per poter sfruttare al meglio l'offerta di prodotti e la creazione di economie di scala. Tra l'atro il recepimento a breve della Direttiva europea Iorp II, spingerà al rafforzamento della governance dei fondi e sarà da stimolo alla razionalizzazione del settore.
Ma per dare una spallata allo sviluppo delle forme complementari occorre ragionare in termini di efficacia degli incentivi fiscali. La Covip suggerisce che potrebbe essere utile valutare l'opportunità di introdurre schemi di incentivazione fiscale dei contributi che prevedano la possibilità di riportare ad anni di imposta successivi i benefici che non si sono utilizzati in una fase di incapienza fiscale. Un spunto interessante che il nuovo Governo non potrà ignorare.
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