La Cina ha conquistato il primato mondiale nelle importazioni di gas, con 34,9 milioni di tonnellate nei primi cinque mesi di quest’anno, contro 34,5 milioni acquistati dal Giappone (che aveva già superato occasionalmente in qualche mese del 2017).
Anche per Pechino, come per Tokyo, a dominare è il gas liquefatto : a maggio l’import cinese di Gnl ha raggiunto 4,15 milioni di tonnellate (+42,8% rispetto a un anno prima), contribuendo a spingere i prezzi spot al record dal 2014 in Asia, sopra 11 $/MBtu.
Solo un quinto di queste forniture arriva dagli Stati Uniti, ma è significativo che il Gnl non sia stato incluso tra i bersagli dei controdazi annunciati dalla Repubblica popolare come ritorsione contro le tariffe minacciate da Donald Trump. Diversi altri combustibili – compresi il petrolio e il carbone «made in Usa» – compaiono invece nell’ultima versione della lista, che già comprendeva molti prodotti agricoli americani.
La Cina, che ha inaugurato il suo primo rigassificatore solo nel 2004, ha accresciuto in modo vertiginoso i consumi di Gnl soprattutto negli ultimi due anni, da quando il Governo ha dato un giro di vite alle normative per la tutela dell’ambiente, ponendosi l’obiettivo di contenere l’enorme impiego di carbone nella generazione elettrica, con un maggiore ricorso alle rinnovabili e alle fonti fossili meno inquinanti, come per l’appunto il gas.
Guerre commerciali o no, Pechino è consapevole che dovrà ricorrere a tutti i possibili fornitori per soddisfare un crescente fabbisogno nei prossimi anni.
Anche via pipeline la Cina importa sempre più gas. A maggio è arrivata a 3,27 milioni di tonnellate (+30,4%), che promettono di crescere in modo esponenziale dal prossimo anno quando Gazprom dovrebbe avviare il gasdotto dalla Russia Power of Siberia.
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